Via Caetani, Mattarella depone la corona d’alloro: uccidendo Moro i terroristi volevano colpire la democrazia
Via Caetani, Mattarella depone la corona d’alloro: uccidendo Moro i terroristi volevano colpire la democrazia. L’Italia rende omaggio alla memoria di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse 43 anni fa. Era il 9 maggio del 1978 quando, in via Caetani, nel centro di Roma. A pochi passi dalla sede del Pci in via delle Botteghe Oscure. E altrettanto equidistante da Palazzo Cenci-Bolognetti di Piazza del Gesù, storica residenza della Democrazia Cristiana, i terroristi consegnano il corpo del leader Dc in una automobile: la Renault 4 di colore rosso rubata il 2 marzo all’imprenditore Filippo Bartoli. Il sequestro di Moro si chiude tragicamente: i Br fanno fanno stendere l’ostaggio nel portabagagli. Lo coprono con una coperta. Gli sparano dodici colpi a freddo. Poi abbandonano l’auto in via Caetani, dove oggi come ogni anno, nella ricorrenza dei drammatici eventi e del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deposto una corona d’allora. Presenti i presidenti del Senato, Elisabetta Casellati; della Camera, Roberto Fico; la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese; la sindaca di Roma, Virginia Raggi; il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
L’omaggio di Mattarella a Aldo Moro e il ricordo delle vittime dei terroristi
Una giornata che rende onore alla memoria. Che rilancia l’appello alla verità sugli anni di piombo: «Un’esigenza – ha ricordato Mattarella – fondamentale per la Repubblica». Un giorno che rinnova il dolore per il sacrificio di tutte le vittime del terrorismo, che con la strategia del terrore attuata negli Anni di Piombo ha messo sotto scacco una nazione intera. Inondato di sangue la nostra storia recente. Seminato morte, paura, e disperazione. Come ricorda lo stesso Capo di Stato in un’intervista a Repubblica di oggi. Nel corso della quale, rispondendo alla domanda su cosa siano stati gli anni di piombo per il nostro Paese, il Presidente Mattarella replica: «Sono stati anni molto sofferti, in cui la tenuta istituzionale e sociale del nostro Paese, è stata messa a dura prova. Oltre quattrocento le vittime in Italia. Di cui circa centosessanta per stragi. Cittadini inermi colpiti con violenza cieca. Oltre cento gli uomini in divisa che hanno pagato con la morte la fedeltà alla Repubblica. Magistrati. Docenti. Operai. Dirigenti d’azienda. Studenti. Giornalisti. Uomini politici. Sindacalisti».
Mattarella sulle orme di Moro e delle vittime dei terroristi: la scia di sangue degli Anni di Piombo
«Nessuna categoria manca all’appello di una stagione in cui il terrorismo, di varia matrice, ha preteso di travolgere la vita delle persone inseguendo progetti sanguinari. La scia lasciata dagli assassini ci porta sino ai primi anni 2000», ricorda allora il capo dello Stato Sergio Mattarella nell’intervista a Repubblica, nel giorno dedicato alle vittime del terrorismo. Di più: ci conduce fino a qualche giorno fa e al recente arresto in Francia di dieci latitanti degli anni di piombo, responsabili di brutali atti di sangue. Un precedente, quello del fermo d’oltralpe, su cui Mattarella si è soffermato, ringraziando anche il presidente Emmanuel Macron. Ed auspicando che «altri Paesi stranieri ne seguano l’esempio, consentendo alla giustizia italiana di fare il proprio corso nei confronti di tutti i latitanti fuggiti all’estero».
«Uccidendo Moro i terroristi volevano colpire la democrazia»
E allora, qual era l’obiettivo dei terroristi? Oggi, il capo dello Stato lo rimarca con veemenza: «Il bersaglio era la giovane democrazia parlamentare nata con la Costituzione repubblicana». L’obiettivo era «approdare a una dittatura. Tutto, privando gli italiani delle libertà conquistate nella lotta di Liberazione. Esattamente il contrario di quanto proclamava il terrorismo rosso, quando parlava di Resistenza tradita. Il tradimento della Resistenza sarebbe stato, invece, quello di far ripiombare l’Italia sotto una nuova dittatura, quale che ne fosse il segno», sottolinea tra memoria e attualità nell’intervista a La Repubblica.
Mattarella sottolinea il valore del pluralismo
Quindi prosegue. «Al di là delle storie personali di chi aderì alla lotta armata, c’era la contestazione radicale della democrazia parlamentare, così come era stata delineata dai padri Costituenti. E, a ben vedere – aggiunge il presidente Mattarella – anche la mancata accettazione della volontà degli elettori in favore di forze centriste. Atlantiche. Riformatrici, di segno moderato. Un esercizio di democrazia che veniva definito “regime”. C’era in Italia anche chi, legittimamente, si sarebbe aspettato dei governi o delle politiche diverse. Ma fu grave e inaccettabile quel processo mentale, prima che ideologico, che portò alcuni italiani a dire: questo Stato. Questa condizione politica, non risponde ai miei sogni. È deludente e, visto che non siamo riusciti a cambiarlo con il voto, abbattiamolo».
«La democrazia è anche un metodo»
Uno dei pilastri su cui si fonda la Repubblica è il valore del pluralismo. La democrazia è libertà, uguaglianza, diritti. È anche un metodo. Un metodo che impone di rispettare le maggioranze e le opinioni altrui. Prescindere dal consenso e dalle opinioni diverse vuol dire negare, alla radice, la volontà popolare, l’essenza della democrazia. È quello – conclude Mattarella – che tentarono di fare i terroristi». Spargendo sangue. Terrore. Morte.
L’intervento al Senato della presidente Casellati
«Non era scontato per l’emergenza sanitaria tutt’ora in atto – ha dichiarato a sua volta in Aula la presidente del Senato Elisabetta Casellati, in occasione della celebrazione a Palazzo Madama del Giorno della memoria delle vittime del terrorismo – potersi ritrovare oggi alla presenza del Presidente della Repubblica e delle più alte cariche dello Stato». Un incontro solenne che vuole «rinnovare il nostro appuntamento con la memoria. Un impegno che, in questo 9 maggio inedito e dominato dall’incertezza, vuole essere l’aspirazione di un intero popolo a ritrovare la propria unità nel ricordo di ferite che fanno parte del dna collettivo. Di un dolore che non si prescrive. Il ricordo di tanti cammini spezzati e di una sofferenza che appartiene a tutti noi». Colpe e dolore che devono trovare risposte a sconcerto e sacrificio. E una piena riconciliazione nella giustizia.
Fico: «Condannati scontino la pena. Non è vendetta, ma bisogno di giustizia»
«Essere una comunità – ha quindi commentato il presidente della camera Fico – significa ribadire alla presenza di voi familiari delle vittime, l’impegno solenne ed incondizionato a perseguire giustizia e verità sulle vicende negli anni di piombo. Ponendo rimedio alle gravi inadempienze di alcuni settori dell’apparato statale. Ciò vuol dire anzitutto assicurare che chiunque sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per gravi crimini, sconti la pena in coerenza con le regole e i principi del nostro ordinamento. Non per vendetta», ha concluso Fico. Perché si compia una reale e profonda pacificazione con quel passato di sofferenza e terrore.