Violante ammette: tutta la sinistra fu contro Falcone. Ma le scuse, quelle no: sarebbe ipocrisia
“Il problema non è ricordare Giovanni Falcone una volta l’anno, levandoci il cappello nel giorno della strage per poi rimettendoselo in testa. Il problema, della politica e dei cittadini, è continuare a fare ciò che Falcone ha fatto contro la mafia e contro l’illegalità”. A dirlo in un’intervista all’AdnKronos, alla vigilia del 29esimo anniversario della strage di Capaci, è Luciano Violante, ex presidente della Camera che fra il giugno del 1992 e il maggio del 1994 guidò la Commissione parlamentare Antimafia. Il quale ammette che “Falcone venne isolato innanzitutto nel Csm perché era considerato un magistrato troppo presente sui mezzi di comunicazione, quindi, da questo punto di vista, c’erano anche delle gelosie“.
Non fu solo una questione di gelosie. O se lo fu, non fu quello un motivo certamente prevalente. C’erano prima di tutto motivi politico-ideologici e di carrierismo. Giovanni Falcone non era organico alla sinistra giudiziaria che, mettendo il pollice verso, stroncava vite e carriere processando le persone con slogan o sui giornali amici. Ma, soprattutto, Falcone era un ottimo magistrato, indipendente e per nulla disponibile a farsi imbrigliare o a farsi comandare a bacchetta dalla politica, come hanno fatto tante toghe mediocri e ideologizzate in questi anni. E, dunque, era “ingestibile”, persino “pericoloso” per quei tanti, a sinistra, che hanno sempre utilizzato la magistratura per colpire gli avversari politici trasformati in nemici da abbattere per via giudiziaria.
“Falcone – sostiene Violante – era ritenuto a livello internazionale una persona particolarmente capace, cosa che magari altri colleghi non gradivano. Nel mondo della politica una parte della sinistra fu contro Falcone nell’ultima fase perché aveva accettato l’incarico del ministro Martelli di andare a lavorare al ministero della Giustizia. Il contrasto allora feroce che c’era tra socialisti e comunisti portò a questo risultato. Ma tutta la sinistra fu contro Falcone“, ammette Violante.
Che, subito dopo spiega: “Io fui critico dell’idea di Falcone di creare la Procura nazionale antimafia, nel senso che pensavo che l’unico che potesse guidarla era lui. Gli dissi che senza di lui la Procura nazionale antimafia rischiava di non funzionare. E che, per come era concepita, si trattava di una macchina complicata che apriva la via a conflitti praticamente infiniti, che era un organo talmente complesso che soltanto lui, Falcone, poteva dirigerla efficacemente. Ma una volta che poi tu non la dirigi più, gli dissi, che succede? Questa fu la mia obiezione”.
D’altra parte, assicura ora Violante, sul progetto di Falcone della Procura nazionale antimafia, “fu critico anche Paolo Borsellino, insieme ad altri, che obiettarono che si trattava di una sorta di controllo di vertice sulla magistratura inquirente. Per Borsellino, ma non solo, era un meccanismo che portava a una sorta di vertice nazionale di direzione centrale delle procure, e allora si diffidava molto del centro”.
Quanto ai presunti misteri ancora da svelare intorno alla strage di Capaci, Violante si spinge a premettere: “Il complottismo è una malattia che non ho. Certamente c’erano grandi interessi dietro la soppressione di Giovanni Falcone. Tutti i grandi omicidi, pensiamo a Moro o a Kennedy, hanno alle spalle delle fasce di mistero. Bisogna impegnarsi a scoprirli, ma questo è compito dei giornalisti e degli storici”.
Ma quando gli si chiede chi oggi dovrebbe chiedere scusa a Giovanni Falcone, Violante se la cava così: “Non credo alle richieste di scuse, sono delle ipocrisie“.