Brusca libero, Capitano Ultimo: “Ferite riaperte che sanguinano, dilaniate da chi dovrebbe curarle”
Tra l’indignazione e la rabbia dei più per il ritorno in libertà di Brusca, Capitano Ultimo, tra i tanti a commentare la scarcerazione dell’ex boss, non può non dichiarare: «Si riaprono ferite, dilaniate da chi dovrebbe curarle». A poche ore dalla scarcerazione di Giovanni Brusca indignazione e sconcerto sono sulla bocca di tutti. Lo “scannacristiani”, così era chiamato l’ex boss per la sua ferocia, è fuori, persino 45 giorni prima di quando previsto dalla scadenza di condanna, abbonati per buona condotta. Con la formula d’uso, “fine pena”, Brusca chiude i suoi tanti conti con la giustizia e a 64 anni lascia il penitenziario romano di Rebibbia. Mentre tutti i familiari delle sue vittime, invece, continuano a scontare l’ergastolo del dolore. E con un Paese intero che non dimentica. Che non può dimenticare: che fu lui ad azionare il telecomando che fece esplodere l’ordigno che provocò la strage di Capaci. Ancora lui, il killer sanguinario che ordinò lo strangolamento e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo. Lui, sempre lui: il boss di San Giuseppe Jato fedelissimo del Capo dei Capi di Cosa nostra, Totò Riina.
Brusca, Capitano Ultimo, 25 anni non possono cancellare tanto orrore
Così, costretti a incassare l’ultimo scempio, al solo pensiero di quella porta della cella che si apre. Di quel cancello del penitenziario che si chiude alle spalle di un assassino che ha barattato la libertà di oggi con le confessioni rese da collaboratore di giustizia, ci sentiamo tutti feriti e offesi, ancora una volta. Una rabbia e un’indignazione, quelle di un Paese intero, che non possono certo attenuarsi alla notizia che, in base a quanto deciso dalla Corte d’Appello di Milano e riferito dai media in queste ore, Brusca sarà sottoposto a controlli e protezione e a quattro anni di libertà vigilata. Allora, tra i tanti che hanno sentito il dovere e il bisogno di commentare questa inaccettabile scarcerazione, c’è anche il Capitano Ultimo. L’uomo che arrestò il boss dei boss di Cosa nostra: Totò Riina. E le sue non possono che essere parole che, nell’amarezza, ammoniscono drammaticamente
Scarcerazione di Brusca, Capitano Ultimo: «Mattarella, non ci abbandoni in questo degrado»
«Il percorso è chiaro come il suo obiettivo. E va avanti da anni sostenuto da menti criminali e da utili idioti: delegittimare lo Stato e minimizzare il ruolo della mafia nelle stragi. Di conseguenza – confida all’Adnkronos il colonnello Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo – ridurre la percezione della sua pericolosità nell’opinione pubblica e in tutte le sedi. Dobbiamo alzare la guardia perché ci stanno riuscendo». Concludendo con un appello accorato: «Brusca fa il suo gioco, nulla di nuovo – aggiunge il Capitano Ultimo –. Le istituzioni devono fare la loro parte. Il presidente Mattarella non ci abbandonerà in questo degrado». Un appello che riecheggia, tra le righe, anche in un post di Ultimo su Facebook, in cui scrive: «Rivedi ferite che credevi scomparse. Aprirsi e sanguinare. Dilaniate da quelli che avrebbero dovuto curarle»…
Brusca, parla il fratello dell’agente ucciso con Borsellino nella strage di via D’Amelio
Così come è pregno di dolore e rabbia il commento di Luciano Traina, il fratello di Claudio: l’agente ucciso nella strage di via d’Amelio in cui morì il giudice Borsellino. Un uomo e un agente delle forze dell’ordine, oggi un ispettore in pensione della Polizia, che non può, oggi più che mai, non ricordare quel giorno di maggio del 1996, quando partecipò al blitz per l’arresto di Giovanni Brusca, ora scarcerato per fine pena. «Non sono certo a favore della pena di morte – esordisce allora Traina – ma penso che 25 anni siano davvero poca cosa a fronte degli omicidi di cui si è macchiato. Lui torna libero, noi, invece, dovremo per tutta la vita fare i conti con l’ergastolo del dolore». Dunque, tornando a quel giorno del blitz di 25 anni fa, Claudio racconta: «Mi distaccarono volutamente in quella squadra. Forse Brusca non doveva essere catturato vivo e qualcuno pensò che trovandomi davanti a lui, magari in preda alla rabbia, mi sarei tolto un sassolino dalla scarpa, sparandogli. Si sbagliarono».
Il blitz in Contrada Cannatello, Traina: il giorno che arrestai Brusca
L’operazione, come ricostruisce l’Adnkronos, fu coordinata dall’allora questore di Palermo, Arnaldo La Barbera. E condotta dagli uomini della Mobile, guidati dal commissario Luigi Savina. E proprio il momento dell’arresto, Claudio lo ricorda come fosse oggi. Gli attimi concitati prima dell’irruzione. Lo stratagemma per identificare esattamente il covo. Tutta l’operazione in contrada Cannatello ad Agrigento, dove un fiancheggiatore aveva messo a disposizione del boss un villino. «Fui il primo a entrare. Scavalcai una finestra al piano terra e me lo trovai davanti in cucina». Appena qualche secondo e lo vide. «Era scalzo. In pantaloncini e a torso nudo, con un braccio appoggiato al frigorifero. Mentre in una mano teneva il telefono».
Claudio Traina, «Vidi un omuncolo: mi ha fatto solo schifo»
Fu così che Traina trovò Brusca, un uomo che aveva visto fino a quel momento solo in foto. E del quale ricorda: «Mi aspettavo un uomo imponente, invece… un omuncolo. Mi ha fatto solo schifo. Ci siamo guardati negli occhi, increduli entrambi. Gli ho puntato la pistola, poi i colleghi hanno fatto irruzione. Lui ha capito che era circondato e non ha opposto resistenza». Del resto, aggiunge anche: «Se avesse fatto un gesto inconsulto. Se la mia vita o quella dei miei colleghi fosse stata in pericolo, non ci avrei pensato due volte a sparare. Ma davanti a una persona inerme non avrei mai potuto farlo. Era inerme, un piccolo uomo…».
Traina: «Non credo per nulla al suo pentimento»
Eppure, dopo quell’episodio, per Traina iniziò un secondo calvario. «Il questore La Barbera dispose il mio trasferimento – ricorda –. Mi disse “per ragioni di sicurezza”. Ma, incalza l’uomo, con le immagini del volto tumefatto di Brusca subito dopo la cattura. Immagini che fecero il giro del mondo, lui non aveva niente a che fare. «Trovarono un capro espiatorio, ma io non c’entravo nulla, perché dopo l’arresto rimasi nel covo con altri miei colleghi per le perquisizioni. Finimmo intorno alle 4 del mattino». Ma oggi, Claudio, cosa pensa del pentimento di Brusca? «Non ci credo per nulla – dice –. Ha raccontato quello che ha voluto e lo ha fatto per il suo tornaconto. Uno che uccide un bambino a sangue freddo… quello che ha fatto è stato mostruoso. Venticinque anni di carcere non bastano per cancellare tutto quell’orrore»…