Carcere per i giornalisti, la Consulta: possibile solo nei casi di «particolare gravità»
Il carcere per i giornalisti resta, sebbene solo in casi di «eccezionale gravità». È, in sintesi, quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale sulle questioni di legittimità della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa. La sentenza prende le mosse dalle questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari, anche in relazione all’articolo 21 della Costituzione e l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un anno fa la Consulta aveva emesso un’ordinanza, la numero 132 del 2020, che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia.
No al carcere per i giornalisti secondo la legge sulla stampa
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa ha fatto sapere che la Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa, la numero 47 del 1948, che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
Resta possibile la reclusione prevista dal Codice penale
È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.
La Consulta richiama il legislatore: «Intervento necessario»
La Corte costituzionale ha sottolineato che resta attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
La Fnsi: «Una sentenza storica»
La Fnsi, la Federazione nazionale della stampa italiana, attraverso il segretario generale Raffaele Lorusso, ha parlato di «sentenza storica», sottolineando che «a questo punto diventa però fondamentale l’intervento del Parlamento, chiamato a mettere a punto una normativa di riordino, compito al quale, fino ad oggi, si è sempre sottratto, obbligando la Consulta a intervenire». «È una vittoria del sindacato dei giornalisti, i cui legali – ha proseguito Lorusso – hanno sollevato l’eccezione di incostituzionalità dinanzi al Tribunale di Salerno. Il lavoro deve continuare per far sì che il Parlamento regoli l’intera materia, trovando il giusto bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della sfera individuale di ciascun cittadino».
Feltri «disgustato» dall’immobilità del Parlamento
«Sono disgustato dall’incapacità di questo Parlamento, che ritengo rivoltante, di normalizzare questa vicenda, e di mettere il nostro Paese non dico all’avanguardia, ma anche arrivando ultimo, decretando l’annullamento del carcere per i giornalisti che in tutto il mondo occidentale è previsto solo in Italia», era stato il commento di Vittorio Feltri in attesa della sentenza. «Il risarcimento è sacrosanto, per carità, ma il carcere è assurdo. Questo dimostra che siamo veramente arretrati dal punto di vista culturale e giudiziario, e lontani mille chilometri dalla civiltà», aveva aggiunto l’ex direttore di Libero, che, insieme ad Alessandro Sallusti, è stato fra i giornalisti che, nel corso della loro carriera, si sono visti comminare pene detentive.