“Carlo Giuliani vittima di un’ideologia bacata”: la verità del carabiniere Mario Placanica sul G8 di Genova
“Prevedibile e superficiale sarebbe bollare Mario come ‘bravo ragazzo’, e Carlo come ‘poco di buono’; e sarebbe un’ovvietà stucchevole alludere a Mario come ad un cittadino ‘modello’, che decide di arruolarsi nei carabinieri per svolgere il servizio militare, e a Carlo come uno giovane ribelle ‘sbandato’ e violento. Tuttavia, non si possono nemmeno scrivere banalità di segno opposto come ‘erano solo due ragazzi, sono stati entrambi vittime del Sistema’, oppure ‘hanno pagato entrambi, e Carlo ha avuto la peggio, per gli errori nella gestione dell’ordine pubblico’. No. Non è così”. È uno dei passaggi contenuti nel libro “Mario Placanica, il carabiniere distrutto dall’”atto dovuto’”, scritto dal carabiniere in congedo Andrea di Lazzaro (che ne è anche l’editore), co-autore lo stesso Placanica, carabiniere ausiliario di Catanzaro che il 20 luglio del 2001, durante il G8 di Genova, sparò e uccise Carlo Giuliani. E divenne, per la sinistra, un eroe, un martire…
Il presunto eroe Carlo Giuliani e la legittima difesa di Mario Placanica
Fu legittima difesa, stabilirono i giudici (e anche la Corte europea dei diritti dell’uomo) prosciogliendolo dalle accuse. Placanica nel 2001 aveva appena 21 anni, Giuliani 23. Il libro (che comincia con una preghiera alla Beata Vergine Maria, Patrona dell’Arma dei Carabinieri) è dedicato da Placanica alla memoria di suo padre, Giuseppe, alla mamma e al nipotino. Scopo del libro, si legge, è quello di “restituire a Mario Placanica la sua dignità affinché possa ricominciare a vivere”, e affinché “nessuno possa più liquidare la questione con semplificazioni mistificanti del tipo ‘Carlo e Mario sono state due vittime della disorganizzazione dello Stato’”.
“Non possiamo ricalcare il solco dell’imperante e univoca narrativa ‘relativista’ – riporta il libro -, per cui Carlo e Mario erano semplicemente due ragazzi della loro epoca; due ragazzi che si sono casualmente incontrati, in uno sfortunato giorno di luglio di venti anni fa, uno da manifestante, l’altro da carabiniere, come se i loro ruoli fossero intercambiabili. Nossignori. Carlo e Mario, fino a quel tragico momento, avevano seguito due percorsi di vita completamente diversi: Mario era lì indossando una divisa da carabiniere, e non si sarebbe mai recato a manifestare in piazza brandendo un estintore contro dei carabinieri, nemmeno se non si fosse mai arruolato; Carlo, invece, si trovava in piazza Alimonda con un passamontagna calato sul volto ed un rotolo di nastro adesivo infilato nel suo magro e muscoloso braccio, non per attaccare volantini bensì per confezionare ordigni rudimentali”. Per l’autore, dunque, “Carlo è stato fuorviato da ideologie bacate. Lo dico senza mezzi termini: ogni ideologia che persegua l’ottenimento dei propri scopi, pur lodevoli che siano, mediante attentati ed offese alla persona umana, ed oltretutto con il coinvolgimento di persone innocenti, e un’ideologia criminale. Sempre”.
L’impunità per gli assalitori dei carabinieri al G8
“Vergogna, aggiungo io. Non so a quali pene siano stati condannati gli assalitori dei carabinieri, ma mi risulta che se la siano cavata piuttosto a buon mercato”, è un altro dei passaggi del libro . “Durante la ritirata una Land Rover Defender dei carabinieri – ricostruisce il libro -, con tre giovani militari a bordo, l’autista Filippo Cavataio di 23 anni, Mario Placanica, carabiniere di leva di 20 anni, e il coetaneo Dario Raffone, restò bloccata di fronte a un cassonetto dei rifiuti usato come barricata dai dimostranti, rimanendone incastrata e con il motore in panne, mentre stava manovrando in Piazza Alimonda; secondo la testimonianza dell’autista, a causa di una manovra errata dell’altro mezzo. Una quindicina di persone, appartenenti al gruppo che dopo la carica fallita stava inseguendo i carabinieri in ritirata, attaccò il mezzo che fu danneggiato a tergo e sul lato destro, con pietre, bastoni, una palanca di legno e un estintore. Nell’assalto furono feriti al volto, da pietre e da altri oggetti contundenti da parte degli assalitori, i carabinieri Raffone e Placanica. Precisiamo che Raffone quasi rischio di perdere un occhio! Fu ferito in modo grave. Entrambi grondavano sangue”.
L’attacco al mezzo, prosegue il libro, “fu documentato da diversi filmati e foto, e il tutto fu successivamente acquisito dalla magistratura. L’aggressore con la palanca, M. Monai, nel descrivere la situazione dichiarerà al magistrato: ‘Il rumore era assordante ed io, trovata a terra una trave, cominciai a colpire il tetto del mezzo; l’ultimo colpo lo diressi all’interno del mezzo il cui finestrino posteriore destro era già frantumato. Vidi per un attimo il volto del carabiniere che era posizionato nella mia direzione, ne colpii la sagoma, poi lo vidi accucciarsi. Mentre avveniva tutto ciò la gente intorno urlava frasi di disprezzo e minaccia nei confronti dei CC quali ‘bastardi, vi ammazziamo’. Non ho udito frasi provenienti dall’interno della camionetta ma in quel trambusto non posso escludere che siano state proferite’. Vergogna”.