L’uomo ferito dal virus riemerge ma è svanita l’illusione dell’autosufficienza: la scienza non basta
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Il tema della supremazia della tecnocrazia e della tecnoscienza sulla vita e sulla coscienza dell’uomo ha svelato, con la crisi della pandemia da coronavirus, tutta la sua straordinaria e drammatica attualità. I limiti politici, economici e sociali di un approccio esclusivamente “scientista” ai problemi del mondo e sul futuro dell’umanità, sono purtroppo emersi in tutta la loro clamorosa evidenza. Il disvelamento dell’impotenza dell’uomo “onnipotente”, che grazie alla conoscenza e alla sola ragione credeva di poter dominare le dinamiche e le “trappole” della natura, ha rimesso al centro, non solo del dibattito culturale ma anche della stessa nostra vita, il tema della fede, della solidarietà, della fratellanza umana da opporre alla ideologia scientista, senza etica e valori. L’uomo ferito dal virus riemerge perciò dall’illusione dell’autosufficienza, del dominio sulla natura, della presunzione faustiana della ragione, della tecnica salvifica. “Se si considera in se stessa la tecnica è piuttosto un bene e l’espressione di un bene, poiché essa non è che una certa specificazione della ragione nella sua applicazione al reale, ma finisce di esserlo quando la sua supremazia sui valori determina l’impoverimento dell’essere umano che viene ridotto ad una pura funzione” (Gabriel Marcel, “Gli uomini contro l’umano”).
«Se si finisce col considerare impegnativo e degno di fede soltanto ciò che si manifesta nell’ambito della scienza – aggiungeva il filosofo tedesco Max Horkheimer a metà del Novecento -, l’inevitabile risultato è la disperazione».
Il coronavirus ci ha insegnato proprio questo: l’illuminismo è ragione ma non comprensione assoluta, la scienza è risposta ma non certezza, la tecnologia è modernità ma non sempre progresso. Di fronte al mistero della Natura che ci sfugge, la Fede che illumina la ragione (cfr. L’enciclica “Fides et Ratio” di San Giovanni Paolo II), ci orienta, ci assiste, ci guida nei comportamenti sociali, economici e politici proprio nei momenti più bui, dove perfino una piazza deserta può incontrare le coscienze e le speranze dell’uomo più del racconto del grande gioco della vita da parte di scienziati, politici, presunti guru e filosofi del nulla.
Di deriva materialista, illusoria e tetra, aveva parlato anche Paolo VI alla fine degli anni Settanta («la tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri») ma perfino il filosofo laico e ateo Emanuele Severino aveva tuonato, negli stessi anni, contro il nichilismo della tecnica, sostenendo che la tecnoscienza ha il suo fine nell’onnipotenza, pia illusione. E’ il precetto di fondo della dottrina sociale della Chiesa, secondo cui lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica ma va legato allo sviluppo integrale dell’uomo. In Caritas in veritate (Benedetto XVI, 2009) la crisi economica internazionale diventava «occasione di discernimento e di nuova progettualità» e la minaccia costituita dalla tecnocrazia, un “nuovo stile di pensiero e di azione anticristiano che dopo la fine delle ideologie, sfruttando la globalizzazione, cerca di sostituirle”. Proprio oggi l’economia e la politica si rivelano prive di una “antropologia adeguata” (San Giovanni Paolo II, Udienza generale 2 Gennaio 1980) richiamata anche nella Laudato sii da Francesco (n.118).
Anche la tecnocrazia alla quale abbiamo in larga parte lasciato gestire l’Unione europea, depotenziata dal mancato riferimento alle sue stesse radici, è apparsa totalmente incapace di elaborare l’emergenza e, davanti ai morti delle terapie intensive, ha persistito con esternazioni di alcuni suoi esponenti del tutto prive di senso.
Mai è stato più evidente quanto affermava Benedetto XVI: “L’uomo di oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come capitale umano, risorsa, parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. (…) La cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona” (udienza ai rappresentanti dell’Assemblea generale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, 3 dicembre 2012).
Sulla pretesa di autosufficienza, di comprensione di ciò che non può essere spiegato con la materia – che il coronavirus ha definitivamente spazzato via – vanno incentrati i piani per la ripartenza, il progetto, la pianificazione del futuro.
La sopravvivenza è sempre una priorità, per l’essere umano, ma il tema centrale deve essere la tenuta morale della società, il rispetto del diritto naturale, della vita, della morte, della nascita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali. In una parola, dello sviluppo umano integrale, solidale, spirituale, naturale. L’unico che può aiutarci a stare in piedi tra le rovine lasciateci dalla bufera del covid-19 e ad orientarci anche di fronte a tragedie apocalittiche come quella della pandemia. L’unico che può farci ripartire su gambe, menti e cuore, più solidi di prima.