Pd, primarie flop anche a Bologna. Ma Prodi grida al “miracolo” e spinge sull’alleanza con il M5S
Due francesi su tre non votano alle regionali d’Oltralpe, e Romano Prodi ne trae giustificazione per il flop registrato dal Pd anche nelle primarie nella rossa Bologna. Ai gazebo, infatti, solo in 26mila. «Un enormità», per il Professore che pur di sostenere quanto afferma s’inerpica su un ostico ragionamento a base di numeri. «Bologna – spiega in un’intervista alla Stampa – ha un po’ meno di 400mila abitanti. In 300mila – più o meno – hanno il diritto di voto. La coalizione mettiamo che abbia 130 mila votanti, hanno votato in 26 mila, cioè il 20 per cento». L’«enormità», appunto. Soprattutto, aggiunge, «se lo confrontiamo con le elezioni francesi in cui ha votato il 33 per cento. Io dico che è un miracolo».
Prodi intervistato dalla Stampa
Contento lui… Ma l’affluenza alle primarie di Bologna non l’unico tema toccato da Prodi nell‘intervista al quotidiano diretto da Massimo Giannini. L’altro, ben più spinoso, riguarda i rapporti, anzi i non-rapporti, a sinistra. Tranne che a Napoli, infatti, Pd e M5S vanno divisi ovunque, in particolare modo a Roma e a Torino dove l’intesa appare a rischio anche nei ballottaggi. Sul punto Prodi minimizza derubricando il tutto a fattori locali. «Che ci siano opinioni anche contrastanti nelle differenti città tra Pd e 5Stelle – premette – non ci deve stupire, c’è pure un’autonomia nei partiti locali.
«Con i 5Stelle intesa nazionale»
Il problema – conclude – è una convergenza nazionale, e questa va costruita passo per passo, sul programma». Non stupisce: Prodi è da sempre un assertore delle alleanze a fisarmonica. Più pudicamente, la sinistra attuale usa l’espressione «campo largo». Tradotto dal politichese significa “tutti dentro e poi si vede“. Uno schema, che poi è quello dell’Ulivo, assai fragile. Lo confermano proprio i fallimenti dei governi presieduti da Prodi. Può servire a vincere, certamente non a governare. Che sia ancora questa l’unica strada per la sinistra sta solo a confermare che la storia è una maestra senza scolari». Sempre che il Professore non stia ancora sognando il Quirinale.