Piero Amara accusato di corruzione in atti giudiziari, contatti con i Riva, parcelle dall’Ilva
E’ di corruzione in atti giudiziari l’accusa formulata nei confronti dell’avvocato Pietro Amara, ex-consulente legale esterno di Eni, arrestato questa mattina dalla Procura di Potenza nell’ambito dell’inchiesta che riguarda l’ex-procuratore capo di Taranto, Carlo Maria Capristo e l’ex-Ilva.
In tutto sono cinque le misure cautelari in cui è coinvolto Piero Amara, finito in carcere.
Custodia in carcere anche per Filippo Paradiso, dipendente del Ministero dell’Interno e nei ruoli della Polizia di Stato.
Arresti, ma domiciliari, invece, per l’avvocato Giacomo Ragno e per Nicola Nicoletti, già consulente esterno della struttura commissariale dell’Ilva.
Obbligo di dimora a Bari per l’ex-procuratore di Trani e Taranto, Carlo Maria Capristo.
Sequestrati 278.000 euro all’avvocato Ragno, pari all’importo delle parcelle professionali pagate da Ilva in amministrazione straordinaria in suo favore.
L’indagine nasce dal fascicolo, di cui la Procura di Potenza è competente per il coinvolgimento di magistrati, che portò all’arresto di Capristo il 19 maggio dello scorso anno quando l’ex-procuratore capo della Procura ionica finì ai domiciliari con l’accusa di presunte pressioni a due magistrati insieme a tre imprenditori e a un poliziotto. Per questa vicenda è iniziato il processo al Tribunale di Potenza.
Piero Amara, secondo i magistrati, cercava contatti con la famiglia Riva, già proprietaria dello stabilimento Ilva. E fra il 2016 e il 2017 aveva ricevuto “lauti compensi” per 90mila euro.
“Per effetto di due incarichi professionali ricevuti nel 2016 – incarichi conferiti in violazione delle procedure e non sottoposti al parere del Comitato di Sorveglianza – Piero Amara percepiva, naturalmente, lauti compensi: la polizia giudiziaria infatti ha rilevato – scrive il gip di Potenza Antonello Amodeo nell’ordinanza di misura cautelare – proprio con riferimento agli anni 2016-2017 – arco temporale in cui Capristo reggeva la Procura di Taranto – i redditi percepiti da Amara e corrisposti dall’Ilva in Amministrazione straordinaria: 60mila euro (anno di imposta 2016) e 30mila euro (anno di imposta 2017)”.
“I vantaggi di Amara però non consistevano soltanto nel pagamento delle parcelle per gli incarichi ricevuti – si legge – nei numerosi verbali di Giuseppe Calafiore infatti, il collega e socio in affari di Amara, più volte ribadiva che Amara ‘viveva per portare Capristo a Taranto…perché gli serviva che Capristo andasse a Taranto’ specificando che Amara aveva interessi oggettivi con l’Ilva e si stava muovendo nel senso di prendere contatti con i vecchi proprietari dell’Ilva (la famiglia Riva)”.
Dal canto suo Piero Amara faceva pressioni sui membri Csm per far ottenere a Capristo l’incarico. E Capristo, a sua volta, da procuratore di Taranto cercò accreditare Amara presso l’Ilva.
Amara è considerato il Deus ex machina del cosiddetto “metodo Siracusa“, un sistema di relazioni e rapporti intriso di corruzione per dirottare quelle che lui considerava inchieste scomode per l’Eni , l’azienda di cui lui era consulente legale esterno, verso i magistrati considerati affidabili e amici, – sia della magistratura ordinaria che contabile, piuttosto che del Consiglio di Stato – i quali, avrebbero, poi, insabbiato tutto.
Di lui, nel corso degli anni si sono interessate diverse Procure: Roma, Messina, Milano e, più recentemente, anche Brescia che ha competenza territoriale sui magistrati meneghini, oltreché Perugia.
I magistrati di Milano lo hanno indagato sul presunto depistaggio nel caso Eni–Shell/Nigeria, Perugia indaga, invece, sul caso Palamara.
Fra i magistrati c’è chi – è la maggior parte – lo considera un avvelenatore di pozzi, soprattutto in questo ultino periodo. E chi, invece, ritiene che sia necessario dargli credito.
Sta di fatto che in recenti dichiarazioni – parliamo dell’ottobre 2020 – ha tirato fuori davanti ai magistrati milanesi una vicenda spinosissima e molto presunta al momento che riguarda l’esistenza di una – così dice Piero Amara – Loggia “Ungheria”, una consorteria di magistrati, personaggi delle istituzioni e forze dell’ordine, che si sarebbero riuniti segretamente per decidere le sorti dei processi e carriere nell’abitazione di un magistrato a piazza Ungheria a Roma, nel cuore dei Parioli.