“Report”, tutto fa brodo per colpire la destra: quante omissioni sull’attentato a Scopelliti
Affida la ricostruzione del contesto politico a due avversari della vittima designata, dai spazio al pentito di turno, metti lo 007 infedele sullo sfondo ed ecco allestito lo spiedo di Report. La puntata di ieri ha rosolato un po’ tutti. A partire da Matteo Renzi, per il suo incontro con l’ex-agente del Sismi Mauro Mancini in un autogrill dell’autostrada. Il senatore viene da Roma, dove ha appena tuonato contro l’allora premier Conte restio a cedere la delega sui Servizi. Forse i due parlano di questo. Fatto sta che il loro incontro è filmato di nascosto da una donna costretta colà a fermarsi da un attacco di diarrea occorso all’anziano padre. «Cagotto galeotto», ha infatti efficacemente sintetizzato il Foglio. Ma Mancini, in pensione da una decina di giorni, è anche l’autore di alcune informative relative al comune di Reggio Calabria dove in quegli anni (2004) è sindaco Beppe Scopelliti, esponente di An.
La parola agli avversari di Scopelliti
Una, in particolare, arriva sul tavolo degli investigatori, alla vigilia del ritrovamento di un bomba senza innesco in un bagno del municipio. Un atto più dimostrativo che altro. In quell’anno l’amministrazione di Scopelliti è messa a dura prova dallo scontro interno alla destra reggina. Per venirne a capo, però, Report non si affida a “voci di dentro” (l’intervista a Gasparri riguarda un suo presunto colloquio con il direttore del Sismi Nicolò Pollari circa la “genuinità” dell’attentato dimostrativo), ma arruola due avversari politici del sindaco. Parliamo di Massimo Canale, capogruppo del Pd e l’ex-parlamentare Ferdinando Pignataro, eletto nel 2006 con i comunisti di Cossutta. Per entrambi la bomba altro non era che un trucco escogitato dalla ‘ndrangheta per rafforzare Scopelliti e conferirgli l’attestato di paladino dell’antimafia.
Pentito sì, pentito no
A suggellare la loro tesi arriva la deposizione di Seby Vecchio. Quest’ultimo è un ex-poliziotto poi diventato assessore di Scopelliti. Arrestato per fatti di criminalità organizzata nell’operazione Gotha, decide di collaborare con la giustizia. Si dichiara massone e ‘ndraghetista e, durante un’udienza, aggiunge: «La bomba fu una pagliacciata organizzata dalla ‘ndrangheta dei Di Stefano». E indica in Carmine Quartuccio, detto Carminello, dipendente comunale e capo ultrà della Reggina, l’esecutore materiale. In un video, però, l’accusato ha già annunciato querela. Report ha anche accennato (solo accennato) alle risposte fornite per iscritto da Scopelliti. In esse l’ex-sindaco, ora agli arresti domiciliari a seguito di una condanna definitiva per falso nel bilancio comunale (caso unico in Italia), dati alla mano, dimostra che lui non aveva bisogno di una falsa bomba per essere percepito come un nemico della ‘ndrangheta. Di attentati e minacce, di cui una rivolta alla figlia allora 12enne, ne ha subito ben 16, in gran parte denunciati all’autorità ma mai resi noti.
Scopelliti: «Mai conosciuto i De Stefano»
C’erano poi gli 81 milioni di euro destinati alla realizzazione della Cittadella giudiziaria e che il Comune avrebbe dovuto appaltare. Il sindaco ne parla agli inquirenti all’indomani del ritrovamento dell’ordigno. Quanto ai rapporti con Mancini e con i De Stefano, a Report Scopelliti risponde di non aver mai conosciuto ne avuto rapporti né con l’uno né con gli altri. E cita la deposizione resa nel 2002 da un altro pentito, Nino Fiume, che anzi indica nel rivale del sindaco nella sfida per Palazzo San Giorgio, Demetrio Naccari Carlizzi, il cavallo su cui avevano puntato le cosche. Solo dieci anni più tardi Fiume “correggerà” le sue precedenti dichiarazioni affermando che Scopelliti «non aveva mantenuto gli impegni».
Alla sinistra i voti del covo della ‘ndrangheta
“Correzioni” platealmente contraddette dai dati elettorali registrati nel 2002 nella circoscrizione Archi, indicata dallo stesso pentito come «covo della ‘ndrangheta». Bene, qui il candidato di An prende 80 voti in meno delle sue stesse liste mentre Naccari Carlizzi ben 436 in più, che comunque non lo salveranno dalla sconfitta. Si tratta, com’è evidente, di numeri e circostanze importanti. Ma che Report ha omesso di riferire. Così come non ha riferito dei rapporti politici intercorsi tra la famiglia di Massimo Canale e Paolo Romeo, il senatore del Psdi per il quale il pm del processo Gotha ha chiesto 28 anni di carcere. Aspetti ritenuti probabilmente secondari, anche se ci piace pensare non ancora sufficientemente approfonditi dal conduttore Sigfrido Ranucci.