“Stretto di carta”, suggestioni da un luogo dello spirito: il nuovo libro di Dario Tomasello

11 Giu 2021 18:44 - di Rocca Familiari

Le città di carta della raffinata casa editrice palermitana “il Palindromo”, è una originale collana che, più che all’Atlante della Letteratura di Gabriele Pedullà e Sergio Luzzatto, sembra ispirarsi alle Città invisibili di Calvino. Anche queste, come quelle partorite dalla lucida – a volte troppo… – fantasia dello scrittore elettivamente einaudiano (fu a lungo direttore editoriale della casa editrice torinese, con scelte a volte troppo radicali) “sono a immagine e non somiglianza delle città di cemento e smog … tutto all’apparenza come sempre, uguale al ‘normale’. Ma non a tutti è dato vedere e visitare le città di carta. L’incanto della letteratura sta nella complicità irrinunciabile tra lettore e immaginario, nel passepartout che solo chi accetta le regole può ottenere grazie a questa consapevolezza, con un libro aperto in mano, ogni parola diventa una possibile realtà. E questa possibilità reale diventa l’unica verità.” Così la suggestiva presentazione editoriale.

In tale ambito esce ora lo Stretto di carta, del bravissimo e sapiente (per quanto giovane) coordinatore del Dams di Messina, Dario Tomasello, che amplia i confini di quel “passepartout”, estendendolo a una “città che non c’è”, come la definisce l’autore, uno spazio non “striato” né “liscio” (così identificati da Deleuze e Guattari, citati dallo stesso Tomasello), e neppure uno dei non-luoghi censiti da Marc Augè, ma piuttosto uno “spazio vuoto”, o meglio “neutro” (secondo Barthes): “ il Neutro come desiderio mette in scena di continuo un paradosso: in quanto oggetto, il Neutro è sospensione della violenza; in quanto desiderio, è violenza … una violenza inesprimibile.” In questo spazio “vuoto” o “neutro”, scrive Tomasello, “con la sua ridondanza che spaura, la produzione letteraria della regione dello Stretto entra, a pieno titolo, nella stratificazione complessa di un processo di patrimonializzazione irto, come sempre, di contraddizioni.”

Un mappamondo della della letteratura universale

Il “patrimonio” letterario che riempie lo spazio “vuoto” e colora lo spazio “neutro” dell’area compresa fra due mostri, i mitici Scilla e Cariddi, ha uno spessore, una profondità e una ricchezza di timbri e tonalità che lo rendono un “mappamondo” (per restare nel codice scelto dall’editore) della letteratura universale. Da Stefano D’Arrigo a Bartolo Cattafi, da Quasimodo a Consolo, da Bufalino a Vittorini, dai meno noti, ma non perciò meno validi, Jolanda Insana al futurista Jannelli, da Giuseppe Longo ad Andrea Genovese, a Dacia Maraini e finanche Michele Ainis, il baedeker letterario tracciato da Tomasello fonda una sorta di “canone meridionale”, porzione niente affatto secondaria del “canone occidentale”.L’autore mostra inoltre una particolare attenzione, in quanto docente di Drammaturgia (dirige la collana “Faretesto” della casa editrice Editoria e Spettacolo), nonché in quanto ottimo drammaturgo anch’egli, alla produzione teatrale, ed ecco allora, accanto ai nomi già ricordati, e in una posizione di assoluto rilievo, la coppia Scimone-Sframeli, autori di interessanti lavori rappresentati con successo in Italia e all’estero, come Nunzio e Bar.

La drammaturgia di Tomasello

Tomasello è anche Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Performatività delle Arti e degli Immaginari Sociali; è infatti fra i pochi da noi ad aver recepito la lezione di Richard Schechner, docente alla Tisch School of the Arts ed editore della prestigiosa The Drama Review, nonché autore di quella fondamentale opera Performance Studies. An Introduction, che proprio Tomasello ha tradotto (nel 2018, per CUE Press). Alle Teorie della Performance, “intese come paradigma epistemologico ad ampio spettro”, Tomasello ha dedicato specificatamente un interessante saggio, proponendo un’originale e proficua sostituzione del “più vieto storytelling  con il playtelling, che intende analizzare la narrazione in relazione a una possibilità di comunicazione più specificatamente legata all’azione, alla performance.” E Playtelling si intitola appunto il volume edito, anche questo nel 2021 (segno che la clausura imposta dal Covid è stata feconda…), che riprende e sviluppa temi già trattati peraltro nel precedente, ponderoso saggio, La drammaturgia italiana contemporanea (edito da Carocci nel 2016).

I due grandi “signori” della letteratura dello Stretto.

Per tornare agli scrittori e poeti “di razza”, le pagine che Tomasello dedica a D’Arrigo e Cattafi sono fra le più acute e intense in assoluto scritte sui due grandi “signori” della letteratura dello Stretto. Lo sguardo del critico, anche se appassionato – e proprio in quanto tale è pure un docente assai amato dai suoi studenti – mantiene un rigore e una freddezza di giudizio che gli consentono di prescindere da preconcetti e pregiudizi consolidati. Nello Stretto di carta D’Arrigo occupa sacrosantamente la posizione di testa col suo monumentale Horcynus Orca, e anche con le poesie di Codice siciliano, definite peraltro da Tomasello “imperfetto cimento lirico in versi prima del perfettissimo lirismo dell’Horcynus“, mentre, a mio parere, sono fra le più belle in assoluto della letteratura italiana del Novecento (questo è il mio solo motivo di dissenso con l’autore).

E’ noto che l’opus magnum di D’Arrigo continua a dividere i lettori e gli studiosi in due “sette” ben distinte, gli horcyniani e gli antihorcyniani…I primi sono coloro che intanto hanno letto interamente il romanzo, impresa non da poco, con le sue duemila e passa pagine, se l’editore le avesse stampate con la “giustezza” normale; ma com’è noto, almeno agli horcyniani, dopo aver preparato le bozze ed essersi accorto che il libro aveva le fattezze… allarmanti di un vocabolario, Mondadori fece rifondere i piombi – allora si componevano così le pagine – aumentare la lunghezza (“giustezza”, nel gergo tipografico) delle righe e usare carta india, più sottile perciò, arrivando così alle “sole” 1.474 pagine della prima edizione. Ma questo non basta per appartenere alla setta dei veneratori della mitica Orca: bisogna inoltre, come suggeriva Geno Pampaloni, fra i grandi sostenitori dello scrittore di Alì, “vivere con il libro” per almeno tre o quattro mesi (il tempo giusto per una lettura non superficiale).

Gli antihorcyniani sono quelli che o non hanno mai letto, tutto o in parte, il libro, ma ciononostante ne parlano male, oppure non lo hanno compreso, anche qui tutto o in parte, e non certo per colpa dell’autore…Degli horcyniani illustri voglio citarne almeno due: Luca Ronconi, il quale, nel 1979, voleva metterlo in scena integralmente, in dieci serate, al Festival di Taormina (che allora dirigevo), impresa non realizzata perché l’anno successivo mi trasferii a Roma e il Festival per alcuni anni si limitò soltanto a ospitare gli Shakespeare prodotti altrove; e Orazio Costa, il suo Maestro (e di buona parte dei bravi teatranti di oggi), che mi chiese di presentargli lo scrittore, di cui ero amico, col quale intrecciò poi un rapporto molto stretto, tant’è che D’Arrigo, dopo il trasferimento di Costa a Firenze, andava spesso a trovarlo, cosa abbastanza sorprendente per una natura schiva come la sua, che aveva trascorso venti anni chiuso in casa a scrivere 14 ore al giorno il suo capolavoro (gli ultimi 15 anni a correggere le bozze…).

Tomasello inquadra definitivamente il romanzo nello spazio, al contempo, definito, circoscritto, identificato, di quell’area dello Stretto, e in quello, per così dire “extraterritoriale”, a cui solo le “opere-mondo” appartengono, essendo esse le generatrici di quello stesso spazio. Cattafi è giustamente considerato da Salvatore Ferlita nella postfazione al volume “uno dei poeti più grandi e nello stesso tempo sottostimati del secondo Novecento”; a lui Tomasello, sulla scia peraltro di nomi come Baldacci, Raboni, Ramat, rende i dovuti onori (fra l’altro, per il poeta di Barcellona Pozzo di Gotto, aveva organizzato, qualche anno fa,  un riuscito convegno di studi). Pur essendo un autore non legato esclusivamente ai luoghi in cui è nato e cresciuto (e ai quali è tornato, dopo i vagabondaggi giovanili e la lunga parentesi milanese), non c’è dubbio che Cattafi sia anche un poeta di quelle “terre, rocce, sabbie, una geologia quanto mai colorita (che rientrano) nell’area magnetica dello Stretto di Messina, anche quando non direttamente bagnate dalle acque” (Cattafi, Lo Stretto di Messina e le Eolie, del 1961, citato da Tomasello).

D’Arrigo e Cattafi e Quasimodo,

Accanto a D’Arrigo e Cattafi va posto Quasimodo, a cui, com’è arcinoto, buona parte della critica, e soprattutto dei colleghi, non ha mai perdonato il Nobel (l’invidia, e non quella “sana”, caldeggiata dai teologi, alligna prevalentemente fra i letterati, e in forme esacerbate),i quali, non potendo ignorare se non altro la raffinatezza della scrittura, lo “impiccano” malignamente al ruolo di traduttore, sia pur eccelso, dei lirici greci, considerandolo, come poeta, soltanto un… ritardatario (di millenni!). In buona (pochi) o in mala (la maggior parte) fede, non vogliono accettare che Quasimodo è un grande traduttore proprio perché è un grande poeta.

La mappa dello Stretto

Ma l’accurata ricostruzione, sotto il profilo letterario, dell’area dello Stretto, operata da Tomasello non si limita agli scrittori più noti, ma si allarga a figure meno familiari ai lettori, o dimenticate, per le quali lo Stretto ha rappresentato il luogo dell’anima. Un nome di spicco, nella personale “toponomastica” dello studioso, è quello di Jolanda Insana, della quale l’autore riporta illuminanti esempi della sua “straordinaria energia visionaria”. Come questo brano tratto da “Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina”, del 2009: “allucinati e increduli / hanno perduto beni e affetti / ma non vogliono lasciare / la città maledetta / castigata da Dio / e si appoggiano ai muri crepati / agli angoli dell’isolato / spettri sbiancati / non più esseri umani.”. Al volume è allegata una mappa dello Stretto nella quale, accanto ai vari “luoghi deputati”, vale a dire dove hanno operatogli autori presi in considerazione (o che sono stati rievocati dagli stessi) è riportata una frase tratta dalle loro opere. E’ un simpatico strumento di visualizzazione del “mondo di visione” creato dai letterati di quell’area, invito anche o suggestione, per chi non la conosca, a colmare al più presto la, veramente imperdonabile, lacuna.

 

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