Eni, indagati il pm “anti-Cav” De Pasquale e il collega Spadaro. L’accusa: “nascosero” prove a difesa
Avrebbero “nascosto” documenti a favore degli indagati, poi tutti assolti, nell’inchiesta sul processo per corruzione internazionale con al centro il presunto pagamento di tangenti da parte di Eni e Shell per ottenere la licenza del campo petrolifero Opl-245 in Nigeria. Per questo la procura di Brescia ha indagato il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, già noto per essere stato il pm del processo contro Silvio Berlusconi sui diritti Tv, e il pm Sergio Spadaro. I due magistrati che devono rispondere dell’articolo 328 del codice penale, ossia rifiuto e omissione di atti d’ufficio.
Il video sparito dai radar del processo
L’indagine sarebbe stata aperta una decina di giorni fa e, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Adnkronos, «riguarda la questione delle prove all’interno del processo». Fra queste anche un video fatto di nascosto dall’ex avvocato Eni Piero Amara, protagonista anche del terremoto sul “caso Procure”. Il video, trovato per una casualità da uno degli avvocati della difesa, dimostrerebbe l’intento reale del “grande accusatore” del processo Eni-Nigeria Vincenzo Armanna, ossia, secondo i giudici di primo grado di Milano, gettare fango su alcuni degli imputati e sulla compagnia petrolifera.
I giudici del caso Eni: «Incomprensibile la scelta del pm di non depositarlo»
Quelle carte “ignorate” dalla pubblica accusa avrebbero potuto modificare la posizione di alcuni indagati. E, secondo quanto scritto dai giudici nelle motivazioni della sentenza del 17 marzo sul caso Eni-Nigeria, che ha assolto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, «risulta incomprensibile la scelta del pubblico ministero di non depositare» il video con il rischio di eliminare dal processo un dato di «estrema rilevanza». Per la corte il contenuto «è di per se dirompente» perché «rivela che Armanna, licenziato da Eni un anno prima, aveva cercato di ricattare i vertici della società petrolifera preannunciando l’intenzione di rivolgersi ai pm milanesi per far arrivare “una valanga di m…” ad alcuni dirigenti apicali della compagnia».
La Procura di Brescia indaga anche sulle chat
Oltre al video, secondo l’Adnkronos, la Procura di Brescia si starebbe concentrando anche su un’ampia mole di documenti, fra i quali alcune chat forse false. In particolare, da quanto emerge, il pm meneghino Paolo Storari, interrogato dai pm di Brescia sul caso dei verbali dell’avvocato Piero Amara e sui contrasti coi vertici dell’ufficio anche in relazione alla gestione del fascicolo sul “falso complotto Eni”, avrebbe reso noto che il coimputato Vincenzo Armanna avrebbe prodotto ai pm del processo Eni-Nigeria delle chat “modificate”, con un testimone che avrebbe pagato lui stesso. Chat che non sarebbero entrare nel processo in cui la procura considerava Armanna teste chiave. Gli investigatori, su richiesta della Procura di Brescia, hanno anche svolto una perquisizione informatica sui computer d’ufficio dei due magistrati.
La Procura di Milano: «Un atto dovuto»
«L’apertura del procedimento da parte della procura di Brescia nei confronti del procuratore aggiunto De Pasquale e del sostituto procuratore Spadaro è atto dovuto che merita rispetto istituzionale, tanto quanto l’assoluta professionalità dei colleghi», si legge in una nota della procura di Milano. Il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Grieco, ha quindi fatto sapere che il 5 marzo, ovvero 12 giorni prima della sentenza Eni-Nigeria, De Pasquale e Spadaro inviarono «a questo procuratore» una nota «nella quale esprimevano, in modo dettagliato, la loro valutazione critica in ordine al materiale ricevuto, peraltro informale ed oggetto di indagini tuttora in corso». In sostanza, per i due magistrati quel materiale sarebbe stato non decisivo e non attendibile.