
Zan, parla Mirabelli (ex-Consulta): «Dal Vaticano nessuna ingerenza, ma solo collaborazione»
Dal Vaticano nessuna «ingerenza», ma solo «volontà di collaborazione». Ci prova Cesare Mirabelli, già presidente della Corte Costituzionale, a rimettere sui suoi giusti binari la nuova “questione romana” aperta dalla replica di Draghi alla nota della Santa Sede sul ddl Zan. La risposta del premier, spiega al Giornale, «enuncia due principi saldi»: lo Stato è laico e rispetta il Concordato». Ciò premesso, l’obiettivo è capire se «non si possa prevenire un conflitto» tra le due sponde del Tevere valutando «la migliore soluzione per garantire i diritti di tutti». Tanto più, avverte, che «ci potrebbe essere un contenzioso di interpretazione» seguito da un aumento di conflittualità. A cominciare dalla nomina di una «commissione» per finire al rinvio degli atti alla Consulta da parte di un giudice.
Mirabelli intervistato dal Giornale
Ecco, la nota vaticana cerca semplicemente di evitare l’escalation. La Chiesa, come sottolinea anche Mirabelli, non mira a «stravolgere la legge». Al contrario, vuole «rafforzare la tutela dei diritti di libertà e renderne più chiare e inequivoche le garanzie». Un obiettivo che per l’insigne giurista si raggiunge esercitando «saggezza». «Il Parlamento – dice – non deve obbedire a segnalazioni esterne, ma di fronte alla segnalazione di un problema può valutarlo, farlo proprio». A maggior ragione ove si consideri, sottolinea Mirabelli, che «alcune segnalazioni arrivano da studiosi molto accreditati, costituzionalisti e penalisti». No, dunque, a «reciproche rigidezze» e sì, invece, ad «un percorso di riflessione».
Sarà reato anche la non benedizione delle nozze gay
Nel merito del ddl Zan, Mirabelli mette sotto osservazione l’articolo 4, rispetto al quale «sono necessarie maggiori garanzie». A suo giudizio, infatti, il vero pericolo annidato nel Ddl Zan è sanzionare una manifestazione del pensiero, «persino esecrabile», ma che nelle intenzioni del soggetto «non sia diretta a suscitare odio e istigazione». Di esempi se ne potrebbero fare a iosa. Anche la «non benedizione» delle unioni gay potrebbe configurare una discriminazione «se la ratio della legge è combattere la discriminazione». Sarebbe un’aberrazione figlia delle migliori intenzioni, a conferma che le leggi si fanno in un altro modo. «Nel campo penale – conclude infatti Mirabelli – occorre grande chiarezza».