Così la pentita Giusi Vitale gestiva il traffico di cocaina dal Lazio alla Sicilia
La rotta della cocaina parte dal Lazio, dal clan dei Casamonica, ma anche dalla camorra, per approdare in Sicilia alimentari ndo le importanti piazze di spaccio dell’isola. E a gestire il traffico è, fra l’altro, la pentita Giusi Vitale, appena espulsa dal programma di protezione dopo aver fornito, per 16 anni, dal 2005, quello che sembrava un contributo importante nella lotta alla mafia.
La scoperta di questo imponente traffico di droga fra realtà criminali solo apparentemente lontane arriva dopo due anni di indagini e porta, con l’operazione “Gordio” di questa mattina, al sequestro di 6 tonnellate di droga e ad 85 misure cautelari fra Palermo, Trapani, Latina, Napoli, Roma e Nuoro: 63 in carcere, 18 agli arresti domiciliari e 4 sottoposti ad obblighi di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria.
Agli indagati viene ora contestato, a vario titolo, l’associazione mafiosa, il concorso esterno in associazione mafiosa, l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, reati in materia di armi, droga, estorsione e corruzione.
L’arresto che più colpisce nel blitz è certamente quello della 49enne pentita Giusi Vitale, sorella dei boss Leonardo, Michele e Vito Vitale, e da poco estromessa dal programma di protezione.
Giusi Vitale è stata la prima donna a guidare un mandamento mafioso, nel 1998, quando aveva appena 23 anni, rompendo una tradizione maschilista di Cosa Nostra e raccogliendo il testimone dal fratello Leonardo finito in carcere.
Ex-capomafia della famiglia “Fardazza”, Giusi Vitale aveva tenuto rapporti diretti con i boss del calibro di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, e aveva poi dato, come pentita, un contributo importante per raccontare i retroscena di Cosa nostra.
E invece, ora, secondo l’accusa, corroborata dalle intercettazioni, Giusi Vitale avrebbe gestito un imponente traffico di cocaina dalla località segreta dove viveva, d’accordo con i parenti in Sicilia, acquistando la droga dai Casamonica e in Calabria.
Fra i destinatari delle 85 misure cautelari, accusato di corruzione aggravata, c’è anche un agente della Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere Pagliarelli di Palermo, finito ora ai domiciliari.
La guardia carceraria avrebbe favorito le comunicazioni all’esterno di Francesco Nania, arrestato per associazione mafiosa nel febbraio 2018, perché individuato quale referente della famiglia di Partinico.
Le indagini hanno evidenziato come Nania avrebbe mantenuto, durante la sua detenzione, i rapporti con l’esterno grazie al titolare di un’agenzia immobiliare di Partinico, Giuseppe Tola. Che ha messo a disposizione di Cosa nostra come “fidata risorsa” proprio l’agente della polizia penitenziaria.
Quest’ultimo, indagato per corruzione aggravata, avrebbe reso possibili gli scambi epistolari dal carcere di Nania, in particolare con Nunzio Cassarà. E avrebbe anche rivelato agli indagati informazioni sull’organizzazione del penitenziario in modo da ostacolare le attività di indagine e di intercettazione.
Il poliziotto della penitenziaria veniva ricompensato dal titolare dell’agenzia immobiliare con regali di vario genere: cibo (ricotta, arance, carne di capretto), capi di abbigliamento (felpe, tute), il lavaggio mensile dell’auto e l’acquisto di carburante ad un prezzo inferiore a quello di mercato.
Dall’operazione emerge, dunque, che la produzione e il traffico di droga resta l’attività più redditizia per la mafia.
Cinque le organizzazioni criminali che rifornivano le piazze di spaccio di Palermo, della provincia (Partinico, Borgetto, Trappeto, Balestrate, Camporeale e Montelepre) e Trapani.
La cocaina, tramite il clan “Guida”, arrivava dal basso Lazio o dalla Campania, grazie ad accordi con la Camorra e in particolare con i fratelli Giovanni e Raffaele Visiello esponenti del clan di Torre Annunziata. Le forniture di hashish, invece, arrivavano da Palermo.
A capo di ognuna delle cinque organizzazioni esponenti già condannati per associazione mafiosa o fortemente contigui a Cosa nostra.