Due anni fa l’omicidio Cerciello, ucciso da due studenti annoiati in cerca di sballo
Undici coltellate, undici fendenti mortali: così, due anni fa, nel quartiere romano Prati, a una manciata di passi dal centro della Capitale, due annoiati studenti statunitensi in cerca di emozioni forti ammazzarono il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega.
Sono passati due anni dall’omicidio Cerciello. E sembra passato un secolo. Qualche giorno fa i due giovani americani, cresciuti in ricche famiglie californiane della Bay Area hanno incassato l’ergastolo per l’omicidio di Mario Cerciello Rega.
Quella notte terribile che finisce con l’omicidio di Mario Cerciello era iniziata a Trastevere dove i due studenti americani – in viaggio di piacere a Roma, alloggiati in un hotel del quartiere Prati – erano andati “in cerca di sballo”. Come scriveranno i giudici della prima Corte d’Assise nella sentenza con cui il 5 maggio scorso hanno comminato l’ergastolo a Finnegan Lee Elder ed a Christian Gabriel Natale Hjorth, aderendo alla richiesta della Procura.
Era la notte del 26 luglio 2019 quando il carabiniere, in servizio con il collega Andrea Varriale, venne ucciso a poche centinaia di metri dall’albergo dove alloggiavano i due giovani americani, arrestati poche ore dopo il delitto con l’accusa di essere gli autori dell’omicidio.
Il vicebrigadiere, quella notte, insieme al collega Varriale era in via Pietro Cossa perché doveva recuperare la borsa che i due americani avevano portato via a Trastevere a Sergio Brugiatelli, ‘intermediario‘ con i pusher a cui si erano rivolti Elder e Hjorth per acquistare droga ricevendo in realtà tachipirina.
I due giovani americani, dopo il furto dello zaino, avevano organizzato, infatti, un cosiddetto, ‘cavallo di ritorno‘ per riavere soldi e droga.
All’appuntamento a Prati, tuttavia, si erano presentati i due carabinieri in borghese , Varriale e Cerciello. Che morì sotto le coltellate inferte da Elder.
Dopo l’omicidio i due studenti rientrano nell’hotel Meridien di via Federico Cesi dove vengono, tuttavia, individuati e fermati.
Nella stanza dell’hotel gli investigatori trovano anche il coltello usato per colpire Cerciello, nascosto nel controsoffitto.
Le indagini serrate dei carabinieri del Nucleo investigativo, guidati allora dal colonnello Lorenzo D’Aloia, la Procura di Roma, con il procuratore Michele Prestipino, l’aggiunto Nunzia D’Elia e il sostituto procuratore Maria Sabina Calabretta, chiedono e ottengono il giudizio immediato per i due americani, che vanno a processo con le accuse di tentata estorsione, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e concorso in omicidio.
Nel corso della vicenda, spuntano alcune foto e un video in cui Christian Gabriel Natale Hjorth, poco dopo essere stato fermato dai carabinieri, appare bendato e con le mani dietro la schiena in caserma.
Inoltre nel corso delle indagini emerge che quella notte sia Cerciello che il suo collega Andrea Varriale non avevano con loro le pistole.
“In meno di 30 secondi è stata tolta brutalmente la vita a un uomo con 11 fendenti” ha detto il pm Calabretta nella sua requisitoria dello scorso 26 aprile chiedendo la pena dell’ergastolo per Elder e Hjorth.
Richiesta pienamente accolta dai giudici che il 5 maggio scorso, dopo oltre 13 ore di camera di consiglio, hanno emesso il verdetto.
“Il vicebrigadiere Cerciello non può più riferire la sua versione, ma il suo corpo martoriato parla per lui e attesta la furia omicida di Elder“, si legge nelle motivazioni della sentenza che ha condannato i due americani all’ergastolo.
“La volontà omicidiaria è evidente – sottolineano ancora i giudici – anche l’arma, un coltello da combattimento, con lama lunga circa 18 centimetri lo conferma, le ferite riportate dalla vittima escludono che i fendenti possano essere stati inferti a scopo di difesa, tutte le lesioni risultano molto gravi“.
I giudici criticano, nelle motivazioni della sentenza, anche la linea adottata dalle difese. “L’operazione descritta dalle difese, che vedrebbe i due militari aggredire i due imputati senza qualificarsi, senza mostrare un tesserino, per di piu’ disarmati e in pari numero ai loro antagonisti, senza alcuna garanzia che sarebbero riusciti a prevalere fisicamente e nella consapevolezza di non disporre di appoggi immediati, appare insostenibile e risulta smentita” da quanto emerso nel corso del processo, affermano.
“Perché i due carabinieri comandati in quel servizio dalla centrale operativa, avrebbero dovuto attaccare senza proferire parola i due ragazzi? Al contrario, i due imputati, sono consci di trovarsi in una situazione di illiceità, sono consapevoli di aver commesso più reati, quando si rendono conto di trovarsi di fronte a carabinieri devono sovrastarli, costi quel costi”, concludono i giudici della prima Corte d’Assise di Roma.
“Sono passati due anni, manca da più di settecento giorni, troppo lunghi e dolorosi. Ma mio marito Mario è con me sempre, è presente in tutto quello che mi sono trovata a vivere e ad affrontare senza di lui, è in ogni istante. E’ lui che mi dà la forza, perché Mario aveva una gran voglia di vivere”, diceva Rosa Maria Esilio, vedova del vicebrigadiere ammazzato dai due californiani ripercorrendo con la memoria le 43 udienze del processo “molto difficili”.
Il momento più terribile? Senz’altro “ascoltare in aula l’angosciosa telefonata alla centrale operativa da parte del collega che chiedeva di inviare i soccorsi perché Mario era stato accoltellato e tentava invano di soccorrerlo”.
Rosa Maria Esilio di sofferma con la memoria a quel “momento così concitato, le voci, i toni, i respiri affannosi e sofferenti di mio marito Mario” che “ha scandito e squarciato un tempo sospeso tra la vita e la morte, erano i suoi ultimi respiri, l’amore della mia vita stava morendo. E tutto questo squarcia dentro”.