Omofobia, Ue senza vergogna: affida il “processo” a Orban a un condannato per revenge porn

8 Lug 2021 9:36 - di Sveva Ferri
ue orban

È atteso per oggi il voto del Parlamento europeo sulla risoluzione contro l’Ungheria, per costringerla a modificare la legge a tutela dei bambini che dispone, tra l’altro, di non coinvolgerli nella propaganda Lgbt. Una legge “omofoba” secondo gli apparati di potere Ue, che in questa battaglia contro il governo Orban sono rappresentati da un uomo, il laburista maltese Cyrus Engerer, condannato in passato per revenge porn nei confronti dell’ex fidanzato.

Il «ricatto» Ue a Orban: a rischio i fondi del Recovery

Engerer è, infatti, l’estensore della risoluzione che chiede alla Commissione di intervenire contro Orban e che è parte di un più ampio «processo», ormai in atto da tempo, nei confronti di  uno «Stato membro colpevole di non omologarsi al pensiero unico di Bruxelles», come ha commentato il copresidente del gruppo Ecr-FdI, Raffaele Fitto, al termine del «dibattito surreale» di ieri sul tema. La presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, del resto, sempre ieri ha già fatto sapere che «userà tutti i suoi poteri in qualità di guardiano dei Trattati». In ballo ci sono anche i 7,2 miliardi di euro del Recovery. «Utilizzare le nuove regole sulla condizionalità di bilancio come strumento per fare pressione sui governi non allineati con Bruxelles è un ricatto inaccettabile», ha commentato il capodelegazione di FdI a Bruxelles, Carlo Fidanza.

La risposta ungherese all’offensiva di Bruxelles

Dunque, tutta la faccenda prende i connotati di un vero e proprio «ricatto», che per altro rappresenta un precedente gravissimo rispetto alle ingerenze che l’Ue è pronta a esercitare sugli Stati membri e sui suoi governi legittimamente in carica. «Bruxelles non può rimuovere per nessun motivo politico ciò per cui gli ungheresi hanno lavorato», ha avvertito il ministro della Giustizia ungherese Judit Varga, ribadendo la posizione di un esecutivo che è pronto a ribattere colpo su colpo. Sempre Varga ha chiarito che Budapest promuoverà una campagna di informazione presso governi e istituzioni Ue per smontare le fake news contro una legge «mal interpretata». Intanto, ha lanciato la bomba: «Quanto è credibile il relatore dell’Europarlamento che contesta la legge sulla protezione dell’infanzia dopo essere stato condannato per un crimine sessuale?», sono state le sue parole, riportate da La Verità.

Il grande accusatore di Orban condannato per revenge porn

I fatti cui si riferisce Varga sono pubblici e se ne trova ampia conferma sul Times of Malta dell’epoca. Vi si legge che Engerer nel 2014 ricevette una condanna a due anni di carcere per aver «distribuito foto pornografiche del suo ex fidanzato nel tentativo di screditarlo». Un caso da manuale di «revenge porn», come lo definisce senza mezzi termini anche il Times of Malta: Engerer e l’ex fidanzato si lasciano; l’attuale europarlamentare spedisce foto intime al datore di lavoro dell’ex; l’ex sporge denuncia e parte un processo che, alla fine, porta alla condanna del laburista, che però ha ottenuto la sospensione della pena e, in virtù delle leggi maltesi, ha potuto comunque candidarsi, conquistando poi il seggio all’Europarlamento.

E poi parlano di odio…

Con questo pregresso, dunque, Engerer si presenta come capofila del fronte parlamentare anti Orban, che ha l’appoggio incondizionato della Commissione. «L’Ue non è posto per la politica dell’odio», tuona oggi Engerer, aggiungendo che «il fatto che Orbán abbia introdotto una legge omofoba in stile russo nel quadro legislativo dell’Ue deve essere condannato e punito». Ancora La Verità ricorda come del caso di revenge porn in capo a Engerer si occupò anche la giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa in un attentato nel 2017.

Dalle sue cronache emergono ulteriori dettagli sul comportamento dell’attuale eurodeputato. Engerer, ricostruì Galizia, entrò in casa dell’ex senza permesso e rubò le foto dal suo computer, usandole poi «per ferirlo agli occhi del suo datore di lavoro e dei colleghi, sperando che perdesse il lavoro o almeno il loro rispetto». «Se non riuscite a capire che si tratta di un crimine grave, allora – concludeva la giornalista – dovreste mettere in discussione i vostri valori».

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