Palamara rompe il giocattolo delle toghe: ripensare il rapporto fra magistratura e stampa

5 Lug 2021 13:16 - di Silvio Leoni
magistratura

“E’ un effetto forte vedere proiettata la propria storia, mai mi sarei aspettato di vederla in un libro e vederla in un teatro è ancora più forte”, ammette l’ex-pm Luca Palamara dopo aver visto  lo spettacolo teatrale ‘Il Sistema’ tratto dal suo omonimo libro intervista con Alessandro Sallusti andato in scena ieri sera in prima nazionale a Casale Monferrato nell’ambito del festival ‘CulturaIdentita’’.

A portare sulle scene ‘Il Sistema’, cioè potere della magistratura e l’influenza che ha avuto sulla politica italiana, Edoardo Sylos Labini con Simone Guarany, nell’adattamento teatrale di Angelo Crespi.

Intervistato dal direttore dell’Adnkronos, Gian Marco Chiocci, che gli chiede cosa si P rova a vedere la propria vita sui giornali Palamara ammette che “bisogna indubbiamente essere attrezzati. Io l’ho potuto fare perché conosco il mio mondo, so benissimo quello che ho fatto e questo mi dà la forza per affrontarlo ma è una gogna difficile. Poi, avere affetti e valori importanti ti può dare la forza per superare questi momenti“.

Paura? “Sinceramente no”, assicura Palamara che, con le sue rivelazioni si è inimicato la casta della magistratura ed è diventato bersaglio di decine di querele di suoi ex-colleghi, “sono molto più animato e preso dalla volontà di spiegare realmente quello che è accaduto e per farlo la paura è un sentimento che non può caratterizzare questa fase della mia vita”.

E, per spiegare cosa è accaduto, Palamara parte da lontano, dal ciclone di Mani Pulite – uno spartiacque della giustizia italiana – e dal rapporto fra la magistratura e la stampa, un rapporto intossicato, spesso, in qualche maniera dalle esigenze professionali ma anche dalle vanità personali tanto di alcune toghe quanto di alcuni giornalisti.

“Oggi lo dico con occhi diversi rispetto a prima, perchè anch’io l’ho vissuto, ma penso che riflettere sul rapporto tra pm e giornalista, rivisitando in chiave critica anche i fatti degli anni ’92-96 di Tangentopoli  sia un tema da sviluppare in maniera forte perchè, come è importante una magistratura autonoma e indipendente, penso sia importante anche una stampa libera, in un Paese democratico ci si aspetta questo”.

Palamara parla, insomma, della ‘separazione delle carriere’ tra giornalisti e magistrati. Un tema oramai indifferibile.

E, a proposito della possibilità di un libro su questi rapporti, l’ex-presidente dell’Anm ammette qual’è il vero problema da una parte e dall’altra: ”L’indagine penale ha bisogno di essere in qualche modo pubblicizzata da una sorta di cinghia di trasmissione esterna altrimenti non ‘monta’”. Parole forti che lasciano immaginare quel cumulo di panna montata ad arte sotto la quale si gonfiano, di pari passo, le formidabili carriere di certi magistrati.

Ecco spiegato il meccanismo. Ed ecco perché “il pm cerca quel giornalista di fiducia che poi, di fatto, si trasforma in una sorta di magistrato aggregato che può diventare cassa di risonanza di un’indagine. Tutto questo a mio avviso stravolge”.

“Nei racconti che facciamo ci sono vicende,  momenti, nei quali il pubblico ministero, e non solo il pm, diventa  la principale fonte del giornalista che poi dovra portare all’esterno fatti e vicende che riguardano persone che però non hanno in quel momento la possibilità di difendersi”, prosegue implacabile Palamara.

Da qui l’evidente distorsione: “Il pm, la polizia giudiziaria, il giornalista e il giudice nell’attuale sistema che viviamo oggi, di  debolezza della classe politica, rischia di diventare il vero centro di potere del sistema italiano. E non essendo un meccanismo che ha l’imprimatur del popolo, eletto, rischia di alterare il normale rapporto di equilibrio tra i rapporti dello Stato”.

Un giudizio persino prudente visto che i rapporti dello Stato sono saltati da tempo, a tutto vantaggio della casta della magistratura, spesso ostaggio di colleghi ideologizzati, e di quella parte politica che utilizza la magistratura per combattere gli avversari, regolare conti personali e conservare il potere violando le regole della democrazia.

”Mi rendo conto che sono frasi forti, che non è  un linguaggio convenzionale – ammette Palamara – perché  il linguaggio convenzionale, quello che utilizzavo da presidente dell’Anm, era quello che avrebbe detto la cosa opposta. E cioè ognuno agisce nel proprio ambito, la magistratura svolge doverosamente le sue indagini, la stampa informa e il potere politico fa le leggi”,

Palamara punta, poi, il dito contro ”la magistratura che vuole autoriformarsi” e contro ”la politica debole nel fare una riforma che possa toccare temi sui quali esiste un dibattito all’interno del Paese,  la separazione delle carriere, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, l’assetto del Consiglio superiore all’interno della magistratura, temi sui quali – conclude Palamara – penso una riflessione che non metta mai in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura si debba fare”.

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