Pd, grosso guaio a Siena: la guerra per banche su Mps può costare il seggio (e la carriera) a Letta

31 Lug 2021 18:54 - di Valerio Falerni
Letta

Che cos’hanno in comune il Mps, Enrico Letta e Pier Carlo Padoan? Semplice: la città di Siena. Per il Monte Paschi a dirlo è la terza lettera dell’acronimo, per gli altri due la situazione è un po’ più complessa. Il primo è candidato nelle elezioni suppletive del collegio lasciato libero dal secondo dopo essere stato nominato presidente di Unicredit. E qui l’affare s’ingrossa perché Unicredit è esattamente la banca che dovrebbe incorporare il Mps. Un triangolo che neppure Renato Zero avrebbe considerato. Ma che invece c’è e rischia di rovinare la campagna elettorale di Letta con effetti imprevedibili sullo scenario nazionale essendosi egli impegnato a lasciare la politica in caso di sconfitta.

La banca rischia lo “spezzatino”

A complicare le cose, anche la circostanza che vede il Mps nelle mani del governo. Lo stesso di cui il Pd è magna pars, se non addirittura «l’asse», come proprio Letta ama ripetere. Succedesse quel che si vocifera, il leader dem non avrebbe scampo. E sì perché boatos sempre più insistenti raccontano che una volta acquisita da Unicredit, Siena perderebbe la sede centrale, la banca finirebbe smembrata e il personale ridotto all’osso. Le stime riportate dalla Stampa quantificano in 5-6mila gli esuberi da licenziare. Uno scenario da incubo per Letta, che ha già incaricato i suoi di lanciare l’allarme in tutte le direzioni.

Per Letta scenario da incubo

A partire dal governo cui il Pd ha già chiesto garanzie al fine di impedire lo “spezzatino“ dello storico istituto di credito, da decenni simbolo della finanza rossa, e di evitare i licenziamenti. Facile a dirsi, ma non a farsi. Tanto più che i senesi pensano che il piattino sia stato organizzato da tempo e preparato con cura. Sin dalla discesa a Siena di Padoan. «Quella era la stagione del Pd di Renzi», obiettano i sostenitori di Letta. Ma a denti stretti e a voce bassissima. Tra i due ex-premier la pace non è ancora fatta e in quel collegio l’ex-Rottamatore conta abbastanza da poter rovinare la festa ad Enrico. Che mai come questa volta ha mille ragioni per non stare «sereno».

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