Prescrizione: tra Conte e Grillo una tregua di carta. I 5Stelle rivedono lo spettro della scissione
È la “riforma Cartabia” sulla prescrizione la mina che può riportare il M5S sull’orlo della scissione. Lunedì o martedì prossimi Giuseppe Conte, cui manca solo il voto online per l’incoronazione ufficiale a capo del movimento, incontrerà Mario Draghi. La notizia non ha ancora ricevuto conferma ufficiale da Palazzo Chigi, ma i parlamentari grillini ci sperano molto. Il loro timore è che il premier possa mettere la fiducia sul testo redatto dalla Guardasigilli, facendoli trovare ancora una volta di fronte al bivio fatale: o ingoiare o rischiare di far saltare il governo a semestre bianco ancora lontano (comincia il 3 agosto). Uno scenario da incubo per i 5Stelle.
Conte vuole modifiche, l’ex-comico no
È il motivo per cui Conte farà al premier un ragionamento tutto politico, il cui succo è semplice: dal M5S non si può pretendere l’abdicazione identitaria sulla prescrizione, pena la sua deflagrazione con tutto quello che ne seguirà sulla stabilità dell‘esecutivo. In compenso, Giuseppi consegnerà al premier alcune proposte di modifica ritenute “potabili“. Ma a quel punto il problema non è più di merito quanto di metodo. Se Draghi “apre” agli emendamenti grillini, dovrà fare altrettanto con quei settori del centrodestra (leggi Forza Italia) che non fanno mistero di considerare il bicchiere della Cartabia più mezzo vuoto che mezzo pieno. Accontentare Conte, quindi, equivarrebbe per il premier a scoperchiare il vaso di Pandora. Per questo i 5Stelle si preparano quindi al peggiore degli scenari: la fiducia.
Paura nel M5S: «E se il premier mette la fiducia?»
Che cosa accadrebbe a quel punto? Tra i grillini c’è anche chi immagina di astenersi sulla fiducia e votare contro sul testo della riforma. È fantapolitica ma solo in apparenza. Anzi, non lo è per niente se si trasforma nell’avvio dello sganciamento dalla maggioranza, operazione da completare dopo il 3 agosto, quando Mattarella non potrà sciogliere le Camere. Un esito che Beppe Grillo non è per nulla disposto ad avallare. Non fosse altro perché il Pd non resisterebbe a lungo in un governo trainato a quel punto dal centrodestra. E qui la questione “esterna” s’intreccia con quella “interna” investendo di nuovo lo Statuto. Conte non vuole la diarchia mentre Grillo non vuole l’uomo solo al comando. Dal canto loro, i parlamentari non voglio la “riforma Cartabia”, ma non vogliono neanche andare al voto. Altro che pace interna: sono spaccati come prima, più di prima.