Afghanistan travolto dall’avanzata talebana: lotta contro il tempo per salvare i “nostri” interpreti
«L’avanzata repentina dei talebani impone di agire in fretta. Gli interpreti in Afghanistan che per venti anni ci hanno aiutato rischiano di morire in balia dei terroristi. Devono essere portati in Italia subito». A lanciare l’appello all’Adnkronos per un rientro di massa urgente dei collaboratori Nato è il primo comandante del contingente italiano, il generale Giorgio Battisti.
“Se abbandoniamo quegli interpreti in Afghanistan li condanniamo a morte”
«I primi 225 sono già arrivati da oltre un mese – spiega – Poi c’é un’altra aliquota di oltre 300 persone che deve essere recuperata, ma la repentina avanzata dei talebani che hanno già conquistato cinque città, fa sì che alcuni di questi, all’interno di queste città controllate dai talebani, non possono uscire. E’ una corsa contro il tempo, spero che le nostre istituzioni preposte a recuperali siano consapevoli che qualsiasi piano è stato stravolto da questa rapida avanzata talebana. Bisogna muoversi presto, dare certezze a queste famiglie, farle venire in Italia perché rischiano di essere ammazzati tutti».
“Con l’arrivo dei talebani saranno trucidati”
Come annunciato dal Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, nel corso della cerimonia di ammaina bandiera ad Herat, infatti, per una parte degli interpreti afghani sarebbero state necessarie ulteriori verifiche prima di accordare un loro trasferimento in Italia, contestualmente al rientro del contingente militare. Questo per accertare la loro conservata onestà o, al contrario, un eventuale doppio gioco – coatto o voluto – con i talebani.
«E’ chiaro che su 300 persone qualcuno può non aver avuto un profilo pulito – conferma il generale – Tuttavia non possiamo tenere bloccate centinaia di collaboratori fidati, amici ormai, persone che ci hanno aiutato, in un Paese che li ucciderà. E’ gente che conosciamo, che ha prestato servizio come interprete o che ha gestito negozietti all’interno delle basi, e il cui profilo sicurezza è già stato verificato. Basta chiedere ai comandi militari che si sono alternati nelle basi, sicuramente avranno file o database che li riguardano».
E incalza: “Non capisco l’esigenza di valutare il loro livello sicurezza quando poi centinaia di migranti arrivano sulle nostre coste senza alcun controllo preventivo. Portiamoli via prima che li sgozzino, poi li controlliamo in Italia. Quanti delinquenti, quanti terroristi, come quello del mercatino a Berlino, arrivano dal mare? Gli interpreti che stiamo lasciando in Afghanistan in balia di una guerra civile dove la resa è fatale, almeno li conosciamo. Dietro di loro ci sono famiglie che ci hanno aiutato per 20 anni. Dietro agli immigrati non abbiamo idea di chi ci sia, eppure entrano in massa ogni giorno”.
Entro fine mese anche l’America lascerà definitivamente l’Afghanistan. I soldati rimasti sono ormai pochi e oggi i talebani sembrano acquistato nuova linfa vitale con una offensiva massiccia che rischia di mettere a repentaglio 20 anni di missioni. “E’ così – conferma il generale Battisti – ma ritengo che la nostra presenza abbia contribuito ad aprire gli occhi a queste popolazioni. Quando sono arrivato lì col primo nucleo di italiani, nel dicembre 2001, la situazione dell’Afghanistan e di Kabul era veramente tragica: nessun contatto con l’esterno, una sola tv che trasmetteva preghiere e programmi religiosi, non una luce accesa la notte. In tutti questi anni siamo riusciti a far vedere a quella gente com’è il mondo normale, a dar loro dei riferimenti di stili di vita che sì, non potranno combaciare con la loro cultura e il loro stile, ma ai quali comunque potranno rivolgersi: oggi i giovani afghani, certo per lo più quelli nei centri urbani, sono più aperti, hanno finestra sul mondo con Internet e i social, e non accetteranno tanto facilmente il ritorno del regime oscuro dei talebani”.
I soldati addestrati dalla Nato non reggono la forza d’urto talebana
I soldati addestrati dalle forze Nato sembrano non reggere alla loro prima vera prova di forza. “Il problema è che una parte di questi combatte bene e sono quelli che quando vengono catturati vengono uccisi subito perché danno filo da torcere; l’altra parte risente di una leadership non sempre adeguata, anche nei ranghi delle forze armate è presente un certo livello di corruzione. Manca ancora, poi, il senso di nazione: gli afghani -aggiunge Battisti- hanno ancora forte il richiamo etnico e tribale, uno che viene dalla parte sud-ovest del paese e viene mandato a combattere al nord non capisce perché deve sacrificarsi per difendere una terra che gli sembra non sua. Ma non solo, abbiamo voluto educarli e formarli militarmente secondo il nostro stile occidentale, ma loro provengono da tutt’altra storia, una storia di guerriglieri, gente che colpisce e si ritira, che fa della guerriglia il suo modo di combattere, contrariamente al nostro che prevede uno schieramento di fronte a un altro, a campo aperto”.
E’ possibile, allo stato dei fatti, che si ripensi il ritiro? “No, non penso che si torni in Afghanistan – garantisce il generale Battisti – Gli americani hanno chiuso, cercando con il Pakistan o con paesi terzi come la Turchia di passare il testimone di questa gestione transitoria della situazione. Il rischio è che tra gli immigrati irregolari che arrivano con la rotta balcanica ci ritroveremo anche chi è riuscito a sopravvivere: perché certo non rischiano di annegare in mare, ma nel loro stesso sangue sì, quando vengono sgozzati. Il ritiro repentino e senza condizioni ha sparigliato tutti i piani di recupero: adesso si tratta di fare presto e mandare aerei charter dedicati per portare via gli interpreti dall’Afghanistan, poi si verificherà il loro profilo. Bisogna accettare questo margine di tolleranza e controllarli dopo”.