«All’armi son fascisti!»: il “Fatto” di Travaglio apre la caccia al “nemico” in pieno stile Anni ’70
Con un senso del futuribile che avrebbe suscitato l’invidia di Jules Verne, il Fatto Quotidiano ha ufficialmente aperto la “caccia al fascista“. Non esattamente una novità. L’ultima volta che lo sport ora riesumato dal giornale di Marco Travaglio registrò larghe e convintissime adesioni tra i quotidiani italiani, compresi quelli patinati e borghesi, fu negli anni ’70. E fu anche per questo che un giornalista controcorrente come Indro Montanelli sbatté la porta del Corriere della Sera per fondare il Giornale. Più che paradossale, quindi, che Travaglio non perda occasione per accreditarsi come suo erede. «Ma ci faccia il piacere», gli direbbe Totò. “Caccia al fascista”, si diceva. Al Fatto tengono aggiornata con cura la contabilità. I reprobi in orbace ora sono tre e tutti e tre conducono a Mario Draghi, vero obiettivo dell’inconsolabile vedovo di Giuseppi Conte.
Il giornale di Travaglio come Lotta Continua
Il primo, il leghista Durigon, è ormai una vecchia conoscenza. Da quando gli scappò di dire che avrebbe restituito al nome del fratello del Duce il parco di Latina oggi intitolato a Falcone e Borsellino, Travaglio gli raccoglie firme contro e conta i giorni di silenzio sul premier a fronte della pressante richiesta di dimissioni. Il secondo spauracchio in camicia nera è invece Andrea De Pasquale, sovrintendente dell’Archivio di Stato. Ad iscriverlo d’ufficio al Pnf per aver rilevato il fondo archivistico di Pino Rauti è stato Tomaso Montanari, noto più che per le sue doti da circense che di studioso visto che riesce a tenere un solo culo, il suo, incollato su una decina di poltrone. Qui Draghi c’entra perché non ha impedito a Franceschini di nominarlo.
Tra gli “epurandi” anche l’ambasciatore Vattani
Così come c’entra sul terzo ardito che fa fatto scattare l’«all’armi» sul giornale di Travaglio: Mario Vattani, ambasciatore italiano a Singapore. Da giovane non disdegnava i concerti di CasaPound, e tanto fa. Anche la sua nomina reca la targa dell’attuale governo. «Chissà se tre indizi fanno una prova», insinua il Fatto. E ancora: «Se poi i tre indizi hanno nomi e cognomi, e hanno tutti a che fare con le nostalgie fasciste, beh qualche pensiero ti viene, non c’è niente da fare». Non osiamo immaginare quali pensieri ronzino in quelle teste, evidentemente – esse sì – nostalgiche degli Anni di Piombo. Anche per questo, più che da sospetti, è un dubbio ad assalirci: ma Travaglio ha davvero mai conosciuto Montanelli? E se sì, non è che ora l’incauto Indro si starà rivoltando nella tomba?