L’Italia dimentica la terapia De Donno. Il plasma iperimmune utilizzato solo all’estero
Un anno e mezzo fa in piena pandemia una risposta per combattere il terribile Covid era arrivata dalla terapia con il plasma iperimmune. Il pioniere della cura era stato Giuseppe De Donno che l’aveva avviata quando era primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova. Ma inspiegabilmente di questa terapia dopo la sua morte non si parla più. Almeno in Italia. Perché in altri Paesi, dagli Usa al Canada passando per la Francia e per la Gran Bretagna fino alla Spagna la terapia continua ad essere utilizzata.
De Donno: «Io non sono un azionista di Big Pharma»
A fare il punto sulla terapia in un’inchiesta è La Verità. Il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro ricorda cosa disse in un’intervista al quotidiano il dottor De Donno nel giugno 2020. «La terapia con il plasma costa poco, funziona benissimo, non fa miliardari. E io sono un medico di campagna, non un azionista di Big Pharma».
Le tappe più importanti
Il quotidiano ricorda tutte le tappe più importanti. Durante il primo lockdown, due ospedali, il Carlo Poma di Mantova e il San Matteo di Pavia, sperimentarono la somministrazione di plasma a chi era riuscito a sopra al virus in malati appena contagiati. Lo studio, iniziato il 17 marzo e concluso l’8 maggio 2020, aveva coinvolto 46 pazienti ricoverati nei due ospedali con difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o intubazione. I medici osservandoli avevano notato che, trasfondendo loro il siero di pazienti guariti e aggiungendolo a colture cellulari, lo sviluppo del virus veniva annientato. Un segno che lasciava ben sperare e dimostrava la presenza di anticorpi neutralizzanti.
Il risultato della sperimentazione
Scrive La Verità che il risultato della sperimentazione, come si legge su Haematologica, una delle più prestigiose riviste scientifiche del settore, è stato «superiore alle più rosee aspettative». Quando è cominciata la sperimentazione, sulla base dei dati ministeriali, la mortalità dei pazienti in terapia intensiva era tra il 13 e il 20%: utilizzando questa tecnica, si legge sulla rivista scientifica, «la mortalità si è ridotta al 6%. In altre parole, da 1 decesso atteso ogni 6 pazienti, se n’è verificato 1 ogni 16. Contemporaneamente, si è constatato che anche gli altri parametri subivano miglioramenti considerevoli: i valori del distress respiratorio miglioravano entro la prima settimana e i tre parametri fissati per l’infezione diminuivano in maniera altrettanto importante. Il risultato più rilevante è stato quello di una riduzione della mortalità assoluta del 9%».
Pioggia di richieste dall’estero
Dati incoraggianti tant’è che i due ospedali hanno ricevuto una pioggia di richieste per avere i dettagli della terapia. Ma in Italia la comunità scientifica si è divisa tra fautori e contrari. Questi ultimi, scrive La Verità «hanno ritirato fuori vecchie polemiche sui rischi dell’uso del plasma e sulla mancanza di un’evidenza scientifica definitiva. La quale è possibile solo dopo una lunga sperimentazione e la sicurezza delle trasfusioni è ormai ampiamente assicurata. Del resto, anche i vaccini vengono oggi somministrati in tutto il mondo in via sperimentale». L’Aifa, scrive ancora il quotidiano, ha promosso uno studio nazionale denominato Tsunami, con l’obiettivo di «valutare con opportuno rigore metodologico l’efficacia e la sicurezza della terapia. Ma non prevede in alcun modo nessun trattamento industriale del plasma». I risultati non sono stati ancora pubblicati sulle riviste scientifiche. Un comunicato dell’Agenzia del farmaco dell’8 aprile 2021 dice che «non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa dell’end-point primario (“necessità di ventilazione meccanica invasiva o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione”) tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard».
Qual è la situazione adesso
Quale è la situazione ora? A Pavia, scrive il quotidiano, la sperimentazione continua ed è stata creata una banca del plasma pronta per le emergenze. Sono anche in corso analisi sull’efficacia del siero raccolto contro la variante Delta. Giustina De Silvestro, direttore del Centro immunotrasfusionale nell’Azienda universitaria ospedaliera di Padova, dice a La Verità, che «i clinici non chiedono più questo trattamento. Nell’ultimo periodo l’hanno ricevuto solo un paio di pazienti. La letteratura scientifica non l’ha molto sostenuto, preferendo gli anticorpi monoclonali per i soggetti non ospedalizzati e gli antivirali assieme ad altri farmaci per i degenti». Il plasma, scrive ancora il quotidiano «viene raccolto direttamente dai centri trasfusionali degli ospedali e non c’è alcun guadagno per le case farmaceutiche. Ogni dose costa 200 euro al sistema sanitario pubblico, un ciclo completo 600/650 euro, meno di una giornata di ricovero, meno dei 2.000 euro a somministrazione richiesti dai monoclonali e meno delle centinaia di migliaia di euro spesi per i farmaci specifici».