Quando Calvino e Moravia scrissero a Togliatti per censurare Malaparte: ritratto dell’Arcitaliano

12 Ago 2021 18:22 - di Massimo Pedroni
Malaparte

“Non si vuole capire, che sono verso gli antifascisti ciò che sono stato verso i fascisti, che ho il più alto disprezzo per i politicanti, di non m’importa quale partito, che non m’interesso che alle idee, alla letteratura all’arte. Che sono un uomo libero, un uomo al di là di tutto ciò che agita questa povera massa d’uomini”. C’è da prendere in parola, quanto espresso in questa dichiarazione da Curzio Malaparte, osservando alcune delle scelte operate da quest’uomo, dalla poliedrica personalità. Scrittore, inviato speciale, Diplomatico, agente segreto, in una parola un significativo personaggio del “900 italiano. L’unico scrittore italiano, del periodo tra le due guerre, che ebbe risonanza internazionale. Al netto ovviamente del Premio Nobel Luigi Pirandello e, di F. T. Marinetti.

Malaparte, il ritratto

Nacque a Prato il 9 giugno del 1898.Questo suo essere pratese, quindi toscano, costituì per lo scrittore una fucina di pensieri e riflessioni su questa sua condizione. Appartenenza   che organizzò con la scrittura.Nel 1956, un anno prima del decesso (Roma 19 luglio 1957) diede alle stampe, “Maledetti toscani”, frutto di un profondo sentire. Non dimentichiamo che in una delle sue varie “fasi”, fu acceso sostenitore del pittore conterraneo Mino Maccari, con il suo movimento “Strapaese”. La esaltazione delle radici locali, missione di quel manipolo di artisti, lo portò ad affermare:“Prato dove tutto viene a finire: la gloria, l’onore, la pietà, la superbia, la vanità del mondo”. Era impregnato, delle atmosfere, la storia, i modi di fare della gente di quei luoghi.

Nonostante i suoi genitori, avessero altre provenienze. Il nome con il quale diventerà famoso erauno pseudonimo. Quello vero era Kurt Erich Suchert, la madre era la milanese Eda Perrelli. Il padre, con il quale ebbe un buon rapporto, era il tedesco Erwin Suchert di professione tintore. Lo scrittore, condusse una vita nomade, sia politicamente che artisticamente. In più di una occasione, assunse posizioni che apparivano fortemente contraddittorie, con quelle assunte poco tempo prima. Ma questo “vagabondare” per lidi diversi, andavano a rafforzare la sua fama e il narcisismo personale. Elemento quest’ultimo che non gli faceva certo difetto. Riassumendo nella sua persona, a suo dire, pregi e difetti nazionali, si soprannominò e fu soprannominato l’Arcitaliano.

Il complesso rapporto col fascismo

Apparteneva a quella generazione che ebbe modo d’incendiare di passioni la propria gioventù, cimentandosi con i grandi avvenimenti della propria epoca. Si schierò quindi nel campo degli Interventisti, e partecipò al conflitto come Volontario. Tornato alla vita civile, fu uno di quelli della “prima ora” che aderirono al Fascismo. Con il Movimento politico capeggiato da Benito Mussolini, ebbe un lungo, quanto contrastato e complesso rapporto, tanto che per alcuni mesi, dall’ottobre 1934 al giugno 1935, per questioni insorte con il Quadrumviro Italo Balbo, finì al confino alle Isole Eolie. Fu tirato fuori, dall’incresciosa situazione grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano. Sollecitato a sua volta dal direttore del “Tevere” Telesio Interlandi.

Gobetti: “La migliore penna del Regime”

La pubblicazione in Francia del libro”Tecnicadel colpo di stato” gli procurò rilievo internazionale.Testo che fu proibito in Francia e in Germania. In esso erano stati visti riferimenti impliciti alla presa del potere di Hitler, e dello stesso Mussolini. Elemento ulteriore, che contribuì a creare aloni di sospetti sulla sua lealtà, nei confronti del Fascismo. Da posizioni, politicamente avverse, a quelle sostenute all’epoca dal nativo di Prato, Piero Gobetti ebbe a definirlo “la migliore penna del Regime”. Le vicende della Guerra, e prima ancora la sua ostilità alle Leggi Razziali, crearono un solco incolmabile tra lo scrittore e il Fascismo. Tra una sorprendente giravolta e l’altra, lo troviamo dopo l’otto settembre dalla parte degli Alleati e dei Badogliani. Questo non fece velo al suo spontaneo sentire, quando con un Ufficiale degli Stati Uniti, si trovò di fronte alla tragedia di Piazzale Loreto:

“A piazzale Loreto mi misi a vomitare”

“Qualunque fosse la ragione che aveva mutato quella folla in una sudicia turba che l’aveva spinta a coprire di sputi e di feci il suo cadavere non m’importava nulla. Ero in piedi sulla jeep stretto da quella folla bestiale. Cumming mi stringeva il braccio era pallido come un morto, e mi stringeva il braccio. Io mi misi a vomitare. Era l’unica cosa che potessi fare. Mi misi a vomitare nella jeep e Cumming mi stringeva il braccio, era pallido come un morto. Povero “Muss” dissi a voce bassa”. Da “Muss ritratto di un dittatore”. Anche in “La Pelle”, il suo scritto più celebre riparlerà della drammatica vicenda. Con uno stile suo proprio che lascia il lettore senza fiato.

Tratto stilistico, definito da alcuni “cinico e compassionevole” quando ad esempio nel romanzo, inchiodava di fronte alle proprie responsabilità l’esercito Alleato per tutte le malefatte di violenza, e stomachevole corruzione per i Rioni di Napoli, rivolta anche ai minori. Questo amaro e crudo realismo, che riportava nei suoi lavori, tratteggiano forse quel sentimento di umana “pietas”, che superava tutti i suoi cangianti convincimenti politici. Sentimento che esprimeva con inesorabile realismo. Nel dopoguerra diventò amico di Palmiro Togliatti. Nonostante questo la società letteraria dell’epoca, promosse una petizione rivolta al Segretario del P.C.I, affinché non facesse pubblicare sulla rivista “Vie nuove” articoli del “fascista Malaparte”.

L’ostracismo

Tra le altre spiccavano, sul documento le firme di Italo Calvino, e Alberto Moravia. Questo ostracismo, che con toni diversi viene posto ancora oggi nei confronti del pratese e delle sue opere, è rimasto costante. Forse anche perché Malaparte la sapeva lunga: “Tutti gli scrittori sono stati fascisti, nella qual cosa non vi è nulla di male. Ma perché oggi pretendono di farsi passare per antifascisti, per martiri della libertà, per vittime della tirannia? Nessuno di loro, dico nessuno, ha mai avuto un solo gesto di ribellione contro il Fascismo, mai”. Dichiarazioni che ovviamente alimentavano ulteriore ostilità nei suoi confronti.

La sua irrequietezza intellettuale, che galoppava in lui senza requie, lo condusse verso la fine degli anni cinquanta, a entusiasmarsi per la Cina Maoista. Se pur, con grande sofferenza, giustificò in qualche modo l’intervento dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956. Per rendere ancora più completo il prisma delle opzioni, non solo politiche, ma anche di natura religiosa, operate dal “maledetto toscano”, ricordiamo la sua vicinanza al Partito Repubblicano e al contempo la tessera del Partito Comunista Italiano. Cosa questa in sede di giudizio storico, letta in maniera non concorde tra gli studiosi. Ma il punto che apre forse uno spiraglio di lettura di un personaggio dalla vita così articolata e complessa, è dato dalla sua conversione al cattolicesimo negli ultimi giorni della sua esperienza terrena.

Scelta messa in dubbio da qualcuno, visto anche il passato da “mangiapreti” e anticlericale di Malaparte. Fu accompagnato in questo percorso spirituale da Padre Virginio Rotondi. Certi accenti della sua scrittura, portano il lettore a confrontarsi e immergersi nel pozzo senza fondo di brutture della quale può essere capace l’essere umano. Cose che per un uomo come lui formatosi nel clima dei due conflitti mondiali, erano state fonte di denuncia, indignazione, rabbia e impotenza. Ispirazione “cinica e compassionevole”. C’è la frase di Eschilo, che mise in apertura della “Pelle”, che invita tutti a un sentire dal valore permanente: “Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti. I vincitori si salveranno”.  Uno scrittore e un’artista, con una vita contrassegnata da forti passioni, che cercava e in qualche modo indicava sentieri di pacificazione.

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