Quirinale, tutti i nomi dei possibili presidenti. Per il centrodestra può essere la volta buona
C’è chi ambisce a dare le carte (Matteo Renzi), chi confida nella coalizione (Dario Franceschini), chi scandaglia i fondali (Pierferdinando Casini) e chi si affida al ripescaggio (Silvio Berlusconi). Benvenuti alle grandi manovre per il Quirinale: più spine che petali nella rosa dei nomi. Partecipano in tanti, ma solo quello del vincente sarà il nome della rosa. Il più gettonato è quello di Draghi, anche se Giorgia Meloni non ci giurerebbe. Ma l’ambiguità è di rigore. Oltre settant’anni di storia parlamentare dicono che la strada per il Colle più alto è irta di pericoli e trabocchetti. Per questo la contesa è un gioco di luci e di ombre o, meglio, di apparizioni e di sparizioni. Bisogna esserci senza starci, tessere intese granitiche ostentando la più sovrana delle indifferenze. Insomma, se c’è un momento dove la dissimulazione da mestiere si trasforma in arte è proprio l’elezione del presidente della Repubblica.
Un king maker per il Quirinale
Tanto più in un Parlamento come questo, il cui asse centrale (M5S) dà segni sempre più evidenti di cedimento. Dovesse schiantarsi, la battaglia per il Quirinale diventerebbe una guerra per bande. E sì, perché per l’elezione del Capo dello Stato una trama ci vuole, così come occorre un king maker, quello che conduce il gioco. L’ultimo è stato Renzi con l’elezione di Mattarella. Ma allora era segretario del Pd nonché premier, reduce da un clamoroso 41 per cento totalizzato alle Europee del 2014. Ora è il leader di Italia Viva, due punti scarsi nei sondaggi, compensati da una grande spregiudicatezza manovriera. In mano ha due carte: Casini e Marta Cartabia, la guardasigilli. Sembrano fatti apposta per sedurre l’altra metà del cielo, cioè il centrodestra. Tra parlamentari e delegati regionali la coalizione totalizza poco meno della metà dei Grandi elettori.
Lega, FdI e FI mai così forti
Gli ultimi calcoli segnalano che dal quarto scrutinio (il primo in cui basta la maggioranza assoluta) le mancherebbero 51 voti. Qui, però, lo schema si capovolge: piuttosto che portare i nostri voti a Renzi, convinciamolo ad aggiungere i suoi 45 ai nostri. In quest’ultimo caso, infatti, al centrodestra e Iv mancherebbero sei soli voti. I nomi? Per molti il più spendibile è quello del forzista Marcello Pera, già presidente del Senato. Ma non manca chi pensa al Cavaliere. Il problema, però, è l’affidabilità non proprio marmorea di Renzi, che sul Quirinale gioca di sponda anche con il Pd. L’ex-Rottamatore va marcato stretto. Diversamente, finirà per dare le carte ancora lui, e questa volta dall’alto del suo due per cento.