Torna l’orrore dei talebani: spari e morti. Ma la resistenza si organizza nella valle del Panshir
Torna l’orrore dei talebani. A Jalalabad si torna a sparare. Ieri per le strade della città si sono sentiti fischi, urla e slogan. La folla ha sventolato la vecchia bandiera dell’Afghanistan e urlato “Via i talebani, via il nostro Paese”. Sono le prime manifestazioni contro gli ex studenti delle scuole coraniche. E la furia talebana si è subito abbattuta contro i cittadini. I talebani hanno sparato a raffica. E i proiettili hanno ucciso.
I talebani sparano a Jalalabad: 35 morti
Prima si è parlato di tre morti e decine di feriti. Poi il numero delle vittime è aumentato: 35 i morti durante le proteste contro i talebani a Jalalabad, secondo quanto ha riportato Sky TG24, che ha citato una testimonianza esclusiva. «Oggi il popolo che abita nella provincia afgana chiamata Nangarhar è uscito in strada con le vecchie bandiere dell’Afghanistan. Per fermarli, i talebani hanno sparato e ammazzato trentacinque persone», ha detto a Sky TG24 un testimone oculare della protesta avvenuta a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar. La rabbia tra la gente è alta. Spari anche all’aeroporto della capitale afghana, dove gli insorti hanno cercato di disperdere la folla che si è accalcata per fuggire dal Paese. Clima che continua anche oggi. I talebani, come riporta SkyTg24, stanno ordinando alle persone di lasciare l’aeroporto e tornare a casa se non hanno il diritto di viaggiare.
Repressione delle proteste
I talebani hanno mostrato apparentemente un volto buono, hanno promesso la riconciliazione nazionale, ma dalle regioni che controllano da anni arrivano descrizioni crudeli delle loro azioni contro chiunque osi ribellarsi. Non possono permettersi di perdere il controllo di Jalalabad. Vi transita la provinciale che dalla capitale porta al Kyber Pass per raggiungere Peshawar in Pakistan.
La resistenza si organizza nella valle del Panshir
Ma, come si legge sul Corriere della Sera, è vicino alla valle del Panshir che si prepara il prossimo scontro militare. Fu proprio lì che negli anni Novanta il capo militare tajiko, Ahmad Shah Massoud, fu in grado di organizzare la resistenza armata contro i talebani vittoriosi in tutto il resto del Paese. Massoud fu poi assassinato da Al Qaeda due giorni prima degli attentati dell’11 settembre 2001. Oggi al suo posto c’è il figlio 32enne, Ahmad Massoud. Con lui ci sono l’ex ministro della Difesa del governo Ghani, Bismillah Mohammadi, e Amirullah Saleh, ex vicepresidente e per molti anni direttore dei servizi segreti legato alla Cia. Stanno organizzando la difesa della vallata nella speranza di lanciare da qui l’offensiva per ricacciare i talebani. Le loro milizie stanno riprendendo il controllo delle province di Parvan e Kapisa.
Una statua abbattuta dai talebani
Più in là nella provincia di Bamiyan i miliziani hanno fatto saltare in aria una statua che raffigurava Abdul Ali Mazari, un leader della minoranza etnica hazara ucciso nel 1996. Gli americani e gli alleati della coalizione internazionale continuano l’evacuazione.
«Non sarà una democrazia»
Intanto, come riporta il sito dell’Ansa.it, fonti dei talebani e dell’ex presidente Hamid Karzai citate dalla televisione Tolo hanno detto che le due parti stanno lavorando per la formazione di un “governo inclusivo” in Afghanistan. L’annuncio fa seguito alla notizia che oggi l’ex presidente ha incontrato a Kabul Anas Haqqani, uno dei leader della Rete Haqqani, una forza militare jihadista che fa parte dei Talebani. Fonti vicine a Karzai hanno fatto sapere che lunedì lo stesso Karzai e Abdullah Abdullah, ex inviato governativo per la riconciliazione, hanno incontrato anche un altro esponente dei Talebani, Amir Khan Motaqi. Ma l’alto funzionario Hashimi avvisa: «Non sarà una democrazia, la legge è la Sharia».