Addio a Belmondo, irresistibile canaglia che ha omaggiato il cinema “fino all’ultimo respiro” (video)
Lutto nel mondo del cinema: è morto Jean Paul Belmondo. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dai media francesi che hanno citato il suo avvocato, spiegando che l’attore si è spento nella sua casa di Parigi. E con l’addio alla canaglia più amata del grande schermo, si chiude un’epoca. Finisce un mondo. L’attore, 88anni, ha rappresentato uno dei divi della Nouvelle Vague, pur essendo lui notoriamente scettico nei confronti del cinema impegnato. Istrione eclettico e poliedrico, spesso etichettato come «il brutto più affascinante del cinema francese», era nato a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile 1933. La sua maschera, inimitabile e inconfondibile, non poteva che sublimare il suo talento al cinema.
È morto Jean Paul Belmondo
Dove, aria scanzonata. Sguardo di sfida. Sorriso accattivante e savoir faire seducente, ha protagonizzato per decenni. Imponendo un modello di irresistibile canaglia, di adorabile guascone. Di seduttore incallito che lo ha accompagnato anche nella vita… Perché, dietro la machera di celluloide, anche l’uomo Belmondo nascondeva un carattere indomito e un cuore ribelle. Un temperamento passionale, il suo, che unito a un indole scanzonata e brillante, lo ha portato a sposarsi due volte. Ad intessere legami di lunga durata con colleghe del calibro di Ursula Andress e Laura Antonelli. E, tra un divorzio e l’altro. Una liason e la successiva, ad avere ben 4 figli.
Simpatica canaglia e seduttore incallito del cinema
Sul set, invece, è stato per tutti il malvivente dilettante. Il magnetico truffatore e l’indomabile mascalzone che, sia che vestisse i panni di un operaio, che interpretasse il ruolo di contadino, di uno studente, di un sacerdote introverso o di gangster della mala marsigliese – in coppia con un altrettanto irresistibile Alain Delon – ha dato vita sul grande schermo a una serie incalcolabile di personaggi, omaggiando sempre una sola maschera iconica: la sua. E non importa che fosse declinata al kolossal storico, come in Cartouche (1962) di Phllippe de Broca, in cui prestò volto e mimica a una sorta di Robin Hood d’oltralpe. O che si trattasse di replicare, con lo stesso regista quel successo col magnifico film avventuroso-satirico L’uomo di Rio (1963)… Che Belmondo interpretasse Borsalino (1970) o L’incorreggibile (1975), l’attore portava davanti alla macchina da presa la sua intramontabile faccia da schiaffi e il suo irresistibile stile beffardo, conquistando sempre pubblico e critica.
Il divo della Nouvelle Vague
Quella stessa critica pronto ad applaudire popolari come l’impegno cinefilo che Belmondo ha omaggiato nei titoli che hanno conferito blasone al suo poliedrico curriculum artistico: Il bandito delle 11 di Godard. Il ladro di Parigi (1967) di Malle. La mia droga si chiama Julie (1969) di Truffaut. Trappola per un lupo (1972) di Chabrol e Stavisky (1974) di Resnais. Portando anche sui nostri set appeal e talento, al servizio di registi come Alberto Lattuada, Vittorio De Sica e Renato Castellani. E di colleghe del calibro di Gina Lollobrigida, Claudia Cardinale, Sophia Loren e Stefania Sandrelli. Titoli, volti, miti di celluloide che prescindono persino dai tanti riconoscimenti che il cinema e il mondo della cultura gli hanno tributato nel corso degli anni. Come il Cèsar per Una vita non basta (1988) e la Legion d’Onore.
“Fino all’ultimo respiro”: il ruolo simbolo della sua carriera
Perché, a parte ruoli e successi, per tutti noi Jean Paul Belmondò è e resterà sempre l’indimenticabile protagonista di Fino all’ultimo respiro, con cui l’attore ha regalato al cinema l’eroe “nero” dei nostri giorni. L’uomo senza ideali. Lontano dal romanticismo di un Humphrey Bogart, come dall’afflato misurato di un Jean Gabin. Un ruolo che non ha mai perso potenza o affievolito il suo vigore formale, neanche negli ultimi anni della vita artistica dell’attore quando, per esempio nel 2000, Belmondo con Amazzonia ha portato sul grande schermo la storia di un francese che invecchia e decide di ritirarsi dove è più fitta la foresta amazzonica. Una sorta di testamento cinematografico che oggi, alla luce dell’addio alle scene della vita di questo grande protagonista della settima arte, acquisisce tutto un altro sapore… E allora, ci piace ricordarlo proprio in una sequenza del suo film-simbolo, in un estratto da Youtube.
Sotto, Jean Paul Belmondo in una scena di Fino all’ultimo respiro da un video Youtube