Clamoroso a “Repubblica”: «Il ‘politically correct’ di sinistra è un rischio per la democrazia»
Può esistere un pericolo per la libertà, e quindi per la democrazia, proveniente anche da sinistra? E può nascere dal liquido amniotico del politically correct una sinistra illiberale? The Economist, bibbia del liberalismo anglosassone, non ha dubbi in merito. E qui da noi Repubblica addirittura giura che il suo «fantasma si aggira per l’Occidente», forse sulle tracce dello «spettro del comunismo» annunciato da Karl Marx nell’incipit di Das Kapital. Che succede? E perché due testate faro del progressismo si mettono ad almanaccare su una mai (da loro) concepita deriva illiberale della sinistra? Un indizio palpabile di questo difetto genetico lo ha scovato Ezio Mauro nel dibattito sulla scissione di Livorno da cui nacque il Pci. «La parola che non viene mai pronunciata – si legge nel suo editoriale –, e di cui dunque non c’è traccia nei verbali, è “libertà“».
L’allarme lanciato da The Economist
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Ma non è il comunismo la maschera dietro cui si nasconde la temuta sinistra illiberale, bensì – appunto – quella del politically correct. Sì, avete letto bene: è proprio in quella forma di fanatismo democratico che The Economist, con la piena condivisione di Repubblica, traccia la «nuova, modernissima soglia di rischio». Una volta superata, spiega Mauro, il dr. Jekill della sinistra riformista si trasforma nel mr. Hyde della «sinistra illiberale, dogmatica, ultraortodossa, concettualmente autoritaria perché fanatica fino all’estremo della “cancel culture“». Accade, insomma, che «la passione per democrazia si trasforma in ideologia, ingessandosi fino a diventare una gabbia». Sembra l’identikit del Pd.
Due testate faro del politically correct
Ma il fenomeno è globale e riguarda la sinistra in tutto l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti. Qui ad incarnarla è la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, aricinemica di Donald Trump e che di recente ha fatto parlare di sé per essersi presentata al Met Gala di New York indossando un abito con la scritta: “Tassate i ricchi“. Ma gli Usa sono anche la nazione dove il politically correct imperversa furiosamente nelle università alimentando un malinteso rispetto delle minoranze che ha partorito fenomeni come la cancel cultur, cioè la pretesa di giudicare la storia ora per allora, o movimenti come il Black lives matter o, ancora l’eccessiva tolleranza verso l’islamismo.
Il pentimento di Ezio Mauro
A riunirli in una comune matrice è l’obiettivo della colpevolizzazione dell’Occidente. Non è una novità. Deriva dal bipolarismo internazionale imposto dalla Guerra Fredda e che vedeva la sinistra comunista schierata dalla parte delle dittature “proletarie” dell’Est, europeo e asiatico. La sinistra illiberale di cui si sono (finalmente) accorti anche The Economist e Repubblica nasce da lì ed sin questi anni è cresciuta anche grazie all‘avallo culturale fornito all’ideologia del politically correct dalle testate illuminate. Il loro pentimento (almeno quello di Mauro) è incoraggiante. Sempre che non giunga ormai a frittata fatta.