Foibe, Montanari patata sempre più bollente per Travaglio: anche la difesa di Barbero è un autogol
A Marco Travaglio piace vincere facile. Diversamente non avrebbe arruolato il professor Alessandro Barbero nel modesto collegio a difesa dell’indifendibile Tomaso Montanari. Sicuro: non intervisti chi ha recriminato per la mancata Norimberga al fascismo italiano per chiedergli di giudicare le tesi sulle foibe di uno che ne celebrerebbe due al giorno, prima e dopo i pasti. Non che ci attendessimo pillole di verità dal giornale-partito di Travaglio. Ma una cosa che somigliasse a una domanda la sua giornalista avrebbe potuto pur rifilarla allo storico di SuperQuark. Una roba del tipo «nominerebbe rettore uno che discetta di argomenti che non padroneggia (la tragedia del nostro confine orientale) al punto da dare letteralmente i numeri sui morti infoibati?». Il tema è questo. Fascismo e antifascismo non c’entrano o c’entrano solo fino a un certo punto.
Montanari, negazionista servo di partito
C’entra invece l’Università per Stranieri di Siena, che rischia di finire nelle mani di un militante di partito più interessato ad assecondare la propria bottega ideologica che lo studio e la libera ricerca. Lo ha dimostrato, per tabulas, lo stesso militante con il tentativo – da noi denunciato – di falsificare i dati sui morti delle foibe. Il 23 agosto ha scritto che erano 800, una settimana dopo li ha fatti lievitare a 5000. Gli abbiamo chiesto spiegazioni, ci ha risposto con gli insulti. Eppure, nessuno studioso degno di definirsi tale mancherebbe di difendere la propria reputazione accademica. Tranne Montanari, pur cercando riparo nella corazza della retorica antifascista. Tradotto: “Con voi non parlo”. Peccato per lui che i suoi numeri li abbia ripresi anche il Foglio. Insomma, siamo in tanti a voler capire – come cantava Venditti a proposito di Dante – se Montanari è un «uomo libero, un fallito o un servo di partito». Così come ci sarebbe piaciuto se Barbero avesse mostrato più rigore scientifico e meno furore ideologico.
Travaglio arruola lo storico di SuperQuark
Già, può uno storico analizzare l’oggetto del proprio studio fondandosi sui concetti di bene e male propri della teologia? O ricorrendo a quelli di parte giusta e sbagliata, tipiche dell’approccio politico-ideologico? E può insolentire l’istituzione della Giornata del Ricordo riducendola a «tappa» della «falsificazione della storia da parte neofascista»? Evidentemente Barbero ignora che la «tappa» trova fondamento in una legge dello Stato approvata da una larghissima maggioranza parlamentare (esclusi ovviamente i compagni negazionisti di Montanari) e promulgata dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Ancor di più sconvolge che non abbia neppure contrastato la tesi del Prof negazionista – ripresa dall’intervistatrice del Fatto – circa la scelta del 10 Febbraio come data «a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah)». È il nadir di Barbero. Quella data non è casuale. Il 10 febbraio del 1947, furono infatti firmati i Trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia territori fino a quel momento italiani. Parliamo di Istria, Quarnaro, Zara e provincia e della maggior parte della Venezia Giulia.
L’ironia di Cofrancesco
Ma questa è storia. E se uno che si definisce storico non trova la forza di ribadirlo o è un ignorante (nel senso che ignora) o è tutt’altro che una schienadiritta. In entrambi i casi, farebbe meglio a cambiare mestiere. Del resto, qualche dubbio sulla sua tempra l’aveva già sollevato, sull’Huffington Post, un intellettuale del calibro di Dino Cofrancesco, professore emerito di Storia delle Dottrine Politiche dell’Università di Genova. Nel suo blog del 20 marzo scorso, commentandone il rimpianto per la mancata Norimberga contro il fascismo, scriveva: «Barbero in fondo, da buon italiano, si è premunito di una patente antifascista: di questi tempi “può far sempre comodo”, come mi ha scritto un carissimo e malvagio amico e collega fiorentino (per la cronaca, socialista liberale)». Un’unica postilla: Montanari, Barbero e chissà quanti altri. Ma che razza di docenti pascola nelle università italiane?