Il Pd punterà su Draghi come candidato premier nel 2023? Qualcuno è tentato, ma Letta dice no
E se Mario Draghi restasse a Palazzo Chigi anche dopo il 2023? L’idea, riferisce Repubblica, l’ha lanciata Enrico Morando aprendo la convention di Libertà eguale, ala liberal dei democratici: “La coincidenza tra l’agenda Draghi e quella del Pd, il consenso altissimo che il premier riscuote tra gli italiani dovrebbe suggerire al partito guidato da Enrico Letta di impegnarsi affinché l’esperienza Draghi prosegua. Anziché guardare all’esecutivo di unità nazionale come una parentesi – copyright di Goffredo Bettini – «un centrosinistra maturo» dovrebbe avere come obiettivo la permanenza dell’ex banchiere a palazzo Chigi”.
L’idea di adottare Draghi tenta anche Silvio Berlusconi
L’ipotesi l’aveva già ventilata Silvio Berlusconi, auspicando un contributo di Mario Draghi anche dopo la fine di questo governo di unità nazionale. E di certo Matteo Renzi non sarebbe ostile a uno scenario di questo tipo. Che però irrita non poco l’entourage di Enrico Letta.
Draghi premier anche dopo il 2023? L’irritazione dei fedelissimi di Enrico Letta
Un’irritazione che è sempre Repubblica a sottolineare. “«Occuparsi di questa questione a 10 giorni dalle amministrative, con il partito impegnato a fare un buon risultato ovunque, è surreale», tagliano corto i fedelissimi del segretario. «Noi siamo quelli che sostengono Draghi con più lealtà e responsabilità. Trascinarlo in esercizi retorici e aleatori, proiettati nientemeno che al 2023 con tutto quel che ci attende nei prossimi mesi, non ha alcuna utilità né per lui, né per il governo, né per il Paese». Il senatore Luigi Zanda, fra i più ascoltati dal leader, è perentorio: «L’Italia si sta distinguendo nel mondo soprattutto per il lavoro di due grandi personalità: Mattarella e Draghi. Non è nell’interesse del Paese tirarli per la giacchetta, anche perché entrambi non lo permetterebbero»”.
Il Pd finirà con accantonare la carta Giuseppe Conte
Questione prematura? Mica tanto, come spiega Stefano Folli: “Da un lato – scrive – cresce l’autorità del presidente del Consiglio, non solo in Italia ma anche nell’Unione orfana di Angela Merkel. Dall’altro, assistiamo al rapido tramonto di Giuseppe Conte come “punto di riferimento” del centrosinistra, ossia come naturale candidato per il ritorno a Palazzo Chigi. Tale declino veloce e forse inarrestabile è l’aspetto non previsto del piano che voleva Pd e M5S uniti in un asse privilegiato, fondato sulla popolarità dell’ex premier. Quel progetto oggi va rivisto dalle fondamenta, benché un’ipotesi alternativa non sia ancora a portata di mano”.