Il voto nelle città mette paura a Letta: «Le elezioni di ottobre non hanno valore politico»
Sembra uno di quegli automobilisti della domenica. Si riconoscono perché procedono appena al di qua del limite di carreggiata, a velocità ridottissima, e spesso con la testa in avanti come a voler uscire dal parabrezza per vedere che cosa c’è davanti al muso della loro auto. Sono, ovviamente, prudentissimi, quasi da intralcio alla circolazione. Proprio come l’Enrico Letta intervistato dal Corriere della Sera di oggi. Una paginata liscia liscia, come quelle pareti di montagna per veri scalatori, priva di increspature e di acuti. Roba da appesantire la palpebra già alla seconda domanda. L’unico passaggio degno di nota è il tentativo di depurare le elezioni amministrative del prossimo ottobre da ogni implicazione politica.
Così Letta al Corriere della Sera
Chissà perché – c’è da chiedersi – dal momento che i sondaggi danno vincente il suo partito a Milano, Napoli e Bologna, con l’incognita di Roma e la tripla di Torino. Certo, nessuna di queste città ha un sindaco targato centrodestra, che quindi potrà trarre consolazione anche da una sola bandierina piazzata su un civico pennone. Ma da qui ad avere paura dell’appuntamento elettorale, come pure lascia trasparire Letta, ce ne corre. E allora perché? Con ogni probabilità, il segretario del Pd vi intravede un problema per la propria leadership e che riecheggia pure nell’intervista: il rapporto con il M5S. È questa la sostanza politica delle “amministrative” dal momento che rappresentano uno stress-test per il collaudo dell’alleanza.
Il nodo dell’intesa con i 5Stelle
L’impressione è che finora i 5Stelle abbiano imposto un’intesa à la carte, a Roma e a Torino no, a Napoli e a Bologna sì. E i ballottaggi nelle prime due città, dove guarda caso il Pd è a rischio, non offrono a Letta alcuna certezza. Soprattutto a Torino, dove la sindaca uscente Chiara Appendino, 5Stelle, ha scelto il Fatto Quotidiano (di fatto l’house organ grillino) per far sapere che il M5S non farà appelli pro-Pd al secondo turno. «E Conte è d’accordo con me», ha tenuto a precisare.
Non proprio un buon viatico per allestire un’alleanza organica. Ma è quello l’obiettivo tracciato da Zingaretti (leggi Bettini) e condiviso da Letta all’insegna del “non esiste un piano B“. Ma non da un pezzo da novanta della nomenclatura interna come Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna. Il governatore non ne fa mistero ed è sempre più presente nel dibattito casalingo. Uno scivolone nelle città sarebbe come aprire il vaso di Pandora. E a quel punto tutto potrebbe accadere, persino che il Pd si convinca che un’alternativa all’intesa con i 5Stelle c’è.