Quirinale, la sortita pro-Draghi del dem Bettini agita il Pd. Per molti è un favore a Conte
Attraversa come una faglia tutti i partiti, Fratelli d’Italia escluso, la proposta del dem Goffredo Bettini di eleggere Draghi al Quirinale. E si capisce: spedire il premier al Colle, significa spalancare la botola del Parlamento e far precipitare nel vuoto gli onorevoli. E son dolori: il combinato disposto tra riduzione del numero dei parlamentari e sondaggi elettorali sconsiglia praticamente a tutti i partiti, escluso ancora una volta FdI, di correre verso le urne. Ma la sortita di Bettini non è caduta al “buio”. L’esponente Pd conosce perfettamente le carte che ha in mano. La più importante si chiama Giuseppe Conte. Che però è anche la più effimera.
Così Bettini alla festa del Fatto Quotidiano
Il consenso di cui gode l’ex-premier è infatti a tempo. Non ha proprio una scadenza tipo yogurt, ma è destinato a calare man mano l’attuale governo si consolida. Dovesse durare l’intera legislatura, cioè fino al 2023, il matrimonio tra Pd e M5S rischierebbe seriamente di risolversi – elettoralmente parlando – nelle classiche nozze coi fichi secchi. Da qui l’urgenza di spedire SuperMario al Colle e andare così ad elezioni. Così pensò Bettini, d’intesa con Conte, a sua volta consigliato da Marco Travaglio. Non per niente, l’esponente dem ha esternato proprio alla festa del Fatto Quotidiano. Ma le sue parole, come anticipato, sembrano destinate a lacerare i più rappresentativi partiti della maggioranza. Enrico Letta è apparso piuttosto infastidito dalle parole di Bettini, e come lui mezzo partito.
La corsa al Colle lacera tutti i partiti, escluso FdI
Sul fronte 5Stelle, la sortita di Bettini ha registrato il gelo anche da parte di Luigi Di Maio. Per il Quirinale, il ministro degli Esteri conduce una trattativa tutta sua e che certamente non converge con gli obiettivi di Conte. Di Maio, infatti, interloquisce anche con i due Matteo, Renzi e Salvini. Ma solo al primo l’accomuna l’esigenza di guadagnare tempo. Il secondo, invece, ha bisogno di voti. Almeno uno in più di FdI alle amministrative di ottobre per riguadagnare il podio da leader della coalizione. In quel caso s’iscriverà volentieri – sempre che la Lega di Giorgetti acconsenta – al partito del “Draghi for president“. Strettamente intrecciato al suo destino, la parte di Forza Italia tagliata fuori degli incarichi di governo. Al contrario, quella che sta in poltrona vorrebbe continuare a starci e tifa per il bis di Mattarella. Insomma, mai come questa volta il Quirinale rappresenta uno snodo decisivo: non solo per il destino della legislatura, ma per l’equilibrio dei e nei partiti.