Speranza ha preso una cantonata: altro che vigile attesa con tachipirina, il paracetamolo peggiora il Covid
La convinzione dura e pura del Ministero della Salute è diventata quasi uno slogan: tachipirina e vigile attesa. Un gingle a cui ricerca, addetti ai lavori e studi sulla casistica, hanno opposto un contro-coro fatto di dubbi e recriminazioni. Alimentando sospetti crescenti, sempre più radicati, sulle linee guida che il ministro Speranza ha continuato a dettare e rilanciare nell’ultimo anno e mezzo per combattere a casa i sintomi del Covid-19. Una causa che il titolare del dicastero della Salute e l’Agenzia del farmaco hanno difeso anche in sede giudiziaria: presentando – e vincendo – il ricorso presentato al Tar contro la sospensiva urgente del protocollo individuato e strenuamente sostenuto. Ma che oggi, ricerca e dati ospedalieri su ricoveri e decessi sembrano smentire amaramente.
Crolla la teoria difesa a spada tratta da Speranza per le cure domiciliari del Covid
Niente: non c’è stato nulla da fare. Neppure la semplice constatazione che nessuno degli altri partners europei ha varato o sostenuto la dottrina terapeutica domiciliare dettata da Speranza ha insinuato il dubbio. Eppure, come riporta oggi in un ampio ed esaustivo servizio La Verità, «gli interrogativi si moltiplicano, così come le ricerche e le comunicazioni scientifiche che sollevano pesanti dubbi sull’uso della tachipirina. L’ultima è stata condotta da un gruppo di ricercatori di varie università italiane, coordinati dal neurochirurgo Sergio Pandolfi di Roma e dal professor Giovanni Ricevuti dell’Università di Pavia. Essa ha confermato i sospetti sul paracetamolo».
I sospetti sulla tachipirina: uno studio dell’Ateneo di Pavia boccia le cure domiciliari di Speranza
Insomma, gli interrogativi si decuplicano e alimentano dubbi e ricerca. L’ultimo studio in proposito, allora, è quello che un gruppo di ricercatori di diversi atenei italiani ha condotto, coordinato appunto da Pandolfi e Ricevuti. Un lavoro pubblicato sul Journal of medical virology e liberamente scaricabile da Internet (all’indirizzo https://tinyurl.com/ymh2bus5), fa sapere il quotidiano diretto da Belpietro. Una ricerca che ha ridefinito l’approccio e messo seriamente in discussione la validità del protocollo Speranza per le cure domiciliari, asserendo addirittura l’opposto di quanto fin qui prescritto.
La ricerca: «La tachipirina aumenta il rischio di evoluzione negativa del Covid»
Ossia, come riferisce La Verità: «La tachipirina aumenta il rischio di evoluzione negativa del Covid. L’effetto del paracetamolo è quello di ridurre le scorte di glutatione, una sostanza naturale che agisce come antiossidante. La carenza di questa sostanza può portare a un peggioramento dei danni legati all’infiammazione causata dall’infezione da coronavirus. Il glutatione è il principale degli antiossidanti prodotti dall’organismo, che aiutano a combattere i radicali liberi. Una barriera naturale che non può mancare per mantenersi in buona salute. Ma che con il passare del tempo si indebolisce. Il Covid riduce ulteriormente questi antiossidanti e la tachipirina li butterebbe a terra».
«L’uso del paracetamolo per trattare a casa aumentato il rischio di ricovero per dispnea da polmonite interstiziale»
Dunque, nel mirino degli scienziati finisce proprio la tachipirina: l’ingrediente principale della ricetta Speranza sulle cure domiciliari. Addirittura, riferisce la ricerca della coppia di esperti italiana: «L’uso del paracetamolo per trattare a casa i sintomi lievi della Covid-19, in particolare negli anziani con comorbilità, ha notevolmente aumentato il rischio di ricovero per dispnea da polmonite interstiziale», aggiungono i ricercatori. «Aumentando così l’enorme preoccupazione di affollare le unità di terapia intensiva». Lo studio coordinato da San Matteo e dal titolo che già la dice lunga: Paracetamolo nel trattamento domiciliare dei primi sintomi della Covid-19: un possibile nemico piuttosto che un amico per i pazienti anziani?. Menziona e rielabora anche altre ricerche strutturate sugli stessi presupposti. E che, guarda caso, conducono al medesimo esito.
«Meglio altri infiammatori: come l’acido acetilsalicilico (Aspirina) o principi attivi come ibuprofene (Brufen) e altri»
Studi che risalgono addirittura al maggio 2020. E che vantano le autorevoli firme del professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, e di Fredy Suter, ex primario di malattie infettive all’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Secondo i due prof e il loro lavoro svolto nella prima fase dell’epidemia, se la febbre non è l’unico sintomo che io pazienti contagiati accusano, è meglio ricorrere ad altri farmaci rispetto alla tachipirina. Anti-infiammatori come l’acido acetilsalicilico (Aspirina) o gli antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti Fans: principi attivi come ibuprofene (Brufen), celecoxib (Celebrex), nimesulide (Aulin) e altri.
Il confronto terapeutico tra due gruppi di pazienti e tra tachipirina e altri antinfiammatori
Perché, se come detto in precedenza, il paracetamolo ha bassa influenza antinfiammatoria e diminuisce le scorte di glutatione. Viceversa – detta lo studio e riferisce La Verità – «il beneficio offerto dai Fans nel ridurre l’infiammazione potrebbe tradursi in una minore progressione della malattia». E a sostegno della loro teoria i due ricercatori, Remuzzi e Suter, hanno parametrato diagnosi e terapie di due gruppi di pazienti: il primo curato secondo la ricetta Speranza, cioè tachipirina e vigile attesa. E l’altro con i Fans. Ebbene, in questa ultima fascia di pazienti, si è registrata una riduzione del 90% sia dei giorni di ospedalizzazione. Sia dei costi sostenuti dal sistema sanitario.
Anche inserendo altri farmaci, la cura a base di tachipirina è rimasta come punto di riferimento…
Così, il 26 aprile, una ventina di giorni dopo l’uscita della ricerca condotta a quattro mani da Remuzzi e Suter, nelle linee guida della sanità pubblica sono stati inseriti anche gli antinfiammatori non steroidei. Ma non in sostituzione del paracetamolo: la tachipirina è rimasta saldamente in sella. Dunque, viene da chiedersi: quanti ricoveri, e quanti decessi, sarebbero stati evitati disattendendo le indicazioni di Speranza e del governo? E ancora: a quanto ammonta l’eccesso di paracetamolo utilizzato nel mercato sanitario per curare a casa i sintomi del Covid? Ai posteri. E a ulteriori studi, l’ardua sentenza…