Toghe rosse, parla Nordio: «Contro i pm politicizzati separare le carriere non basta»
Silvio Berlusconi, citando Piero Calamandrei, scrive che la condanna di un innocente è «il peggior crimine per lo Stato» e l’ex-pm Carlo Nordio si dice d’accordo con lui. Un intervento sul Giornale del leader di Forza Italia riesce a restituire attualità al tema della giustizia oggi alquanto appannato dall’emergenza-Covid e anche dalla riluttanza a parlarne dei protagonisti politici. Non perché sia tema divisivo, ma perché riporta indietro le lancette dell’orologio. Era infatti un’altra era quella della contrapposizione frontale tra toghe rosse e centrodestra, con l’obiettivo di mettere fuori gioco Berlusconi. L’epilogo è noto: condanna irrevocabile del Cavaliere per frode fiscale, affidamento in prova ai servizi sociali e sua espulsione dal Senato. Per indegnità.
Carlo Nordio intervistato dal Giornale
Ma l’ex-premier è solo la punta di un iceberg che negli anni ha visto colare a picco decine e decine tra dirigenti ed eletti, in gran parte di una sola parte politica: il centrodestra. Vicende ora (parzialmente) raccontate ne Il Sistema scritto da Alessandro Sallusti e Luca Palamara. Un libro che secondo Nordio (sempre sul Giornale) ha «consolidato» la tesi dell’esistenza di un pregiudizio politico-ideologico a base di molte inchieste. Non solo. Per l’ex-procuratore aggiunto di Venezia, infatti, la malagiustizia italiana sconta anche un elemento strutturale. Meglio, l’illusione di importare il «processo accusatorio alla Perry Mason» senza scegliere, sui poteri del pm, tra la via americana (dove è eletto) e quella inglese (dove non conduce indagini).
La sfida referendaria
«L’Italia – spiega infatti Nordio – è l’unico Paese al mondo dove il pm ha le garanzie del giudice e i poteri del superpoliziotto, senza rispondere a nessuno». Un’altra anomalia riguarda l’appello del pm dopo la condanna. In teoria, alla luce formula in base alla quale il giudice può condannare solo «oltre ogni ragionevole dubbio», non dovrebbe essere consentito. O consentito solo rifacendo il dibattimento. «Da noi invece – ricorda Nordio – puoi condannare sulle stesse basi sulle quali il giudice precedente aveva dubitato al punto da assolvere». Con questi limiti di sistema, avverte il magistrato, la separazione delle carriere è «condizione necessaria ma non sufficiente» per abbattere il pregiudizio di cui prima. Teniamolo presente quando (almeno si spera) andremo a votare i referendum sulla giustizia.