Il delirio di Bettini: «Meloni reticente sul passato, il Pci no». Ma il dirigente dem ha memoria corta
Sostiene Goffredo Bettini che «un partito come Fratelli d’Italia, che si candida a governare la nazione, deve imporsi uno sforzo intellettuale e una revisione politica per essere credibile». Il tema, manco a dirlo, è quello frusto del fascismo. Rispetto a cui, argomenta ancora il dirigente dem dalle colonne del Manifesto, «la reazione di Giorgia Meloni è del tutto e ambigua e reticente». Una granitica certezza che Bettini ricava dalla lettura del libro della leader di FdI. Quel che non lo «convince» è che la Meloni non parli «del fascismo storico» sostenendo che «allora neppure era nata e quindi non ne porta alcuna responsabilità». Sembra quasi lapalissiano, ma non per Bettini. Che infatti insiste: «Ognuno deve fare i conti con la propria storia e il proprio passato».
Così Bettini al Manifesto
Come «i comunisti italiani», azzarda l’esponente del Pd. A loro, ricorda, «si sono chieste all’infinito abiure, autocritiche ed esami. Mai essi si sono sottratti». Ma qui chi non convince è proprio Bettini, cui sembra sfuggire un dato che fa la differenza. Lui chiede alla Meloni di prendere le distanze, ora per allora, da un periodo storico a lei lontano con l’evidente scopo di inchiodarcela sopra. Il che, oltre che politicamente pretestuoso, è anche un po’ ridicolo. Ben diversa era invece l’abiura richiesta «all’infinito» al Pci. In quel caso c’era infatti da marcare una differenza con un regime, quello sovietico, vivo e vegeto. Da lì i capi comunisti prendevano ordini e rubli. E lì andavano persino a curarsi. Da vice di Stalin nel Comintern Togliatti arrivò ad avallare l’eliminazione fisica di molti nemici del dittatore georgiano, compresa l’intera dirigenza del partito comunista polacco. Normale che gli chiedessero l’abiura.
Le distanze dall’Urss solo quando possibile
Ma i comunisti l’hanno mai veramente fatta? In realtà solo a babbo morto, quando non era più un’eresia, ma solo una nuova ortodossia. Fu così con Stalin, il cui culto abbandonarono dopo che il processo di destalinizzazione avviato da Nikita Kruscev al XX Congresso del Pcus. E si potrebbe continuare con l’avallo alla repressione degli insorti ungheresi nel 1956 o all’invasione dell’allora Cecoslovacchia nel 1968. Chi si opponeva era fuori. Bettini queste cose le sa bene. La smetta perciò di impancarsi a giudice delle (inesistenti) reticenze altrui. La diversità dei comunisti italiani rispetto al comunismo mondiale è un feticcio. Diversamente, non scomoderebbero sempre l’antifascismo per legittimarsi. O come ora, per vincere un paio di ballottaggi.