Mafia, blitz con arresti nel Palermitano: ecco come i boss mantenevano le famiglie dei detenuti
A San Giuseppe Jato e a San Cipirello, i carabinieri del nucleo Investigativo del Gruppo di Monreale hanno dato esecuzione a dieci provvedimenti cautelari (otto in carcere, uno ai domiciliari e una sospensione dall’ufficio o servizio), emessi dal gip di Palermo. Gli indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico. Sei sarebbero ritenuti affiliati alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato.
Mafia, le indagini
Le indagini, dirette da un pool di magistrati della locale Direzione distrettuale antimafia, coordinati dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, hanno permesso di monitorare gli assetti interni allo storico mandamento subito dopo i blitz “Nuovo Mandamento” (2013), “Quattro.Zero” (2014), “Montereale” (2016) e “Nuovo Papa” (2017). «Le condotte di reato contestate agli indagati – spiegano gli investigatori – sono relative al periodo compreso tra il febbraio 2017 e il novembre 2019».
Mafia, il blitz “Jato Bet”
Come riporta l’Adnkronos, nonostante la detenzione avrebbero mantenuto “stabili contatti” con gli altri affiliati. È uno dei retroscena del blitz antimafia “Jato Bet” dei carabinieri. Le indagini hanno fatto luce su quanto avvenuto all’indomani dell’arresto di Ignazio Bruno, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, e di Vincenzo Simonetti, suo autista e consigliere, avvenuti, rispettivamente, nelle operazioni denominate “Quattro.Zero” e “Montereale”. «I due uomini d’onore, anche durante la loro detenzione – spiegano gli investigatori –, hanno mantenuto stabili contatti con gli altri associati oggi destinatari del provvedimento cautelare».
Gli indagati
In particolare, riporta ancora l’Adnkronos, «le comunicazioni sarebbero avvenute con Calogero Alamia (nipote di Antonino, elemento di vertice della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato quale “cassiere” del mandamento, attualmente detenuto), cui viene contestato il ruolo di promotore dell’organizzazione dal luglio del 2018, e Maurizio Licari. Gli altri indagati per associazione mafiosa sono Nicusor Tinjala, Giuseppe Bommarito, storico esponente di “Cosa Nostra” e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006), e i figli Calogero e Giuseppe Antonio. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Massimiliano Giangrande (al quale non viene però contestato il reato associativo)».