Ora nei centri sociali temono la messa al bando come Forza nuova: «Noi facciamo cultura»
Ora nei centri sociali c’è qualche apprensione. Le candide vestali dell’antifascismo ora danno le lezioni di non violenza e di democrazia. Lo fanno all’indomani del voto parlamentare che ha messo al bando Forza Nuova. Dichiarazioni che fanno sorridere, vista la deriva di illegalità e violenza che ha animato molti eventi, dove gli antagonisti dei centri sociali hanno brillato per le loro gesta al di fuori della legge.
«Di disordini provocati dalla sinistra negli ultimi anni non ne ricordo», sostiene convintamente all’Adnkronos Fabrizio Pagnozzi, del centro sociale Brancaleone a Roma. Lo “smemorato” Pagnozzi ha dimenticato (tanto per fare qualche esempio) le recenti devastazioni dei No Tav, gli assalti alla polizia a Torino. Ma anche gli scontri di Milano contro il green pass, animati proprio da esponenti dei centri sociali. L’elenco sarebbe sterminato.
Temono che tocchi pure a loro, dopo Forza Nuova. E quindi sciorinano gli slogan dell'”arco costituzionale” e la coperta dell'”antifascismo”. Come se la violenza fosse giustificabile dietro la parola antifascismo. «Forse qualcuno è ora che si metta l’anima in pace – replica piccato Luca Blasi del centro sociale Astra – questo è un Paese con una Costituzione antifascista e le organizzazioni neofasciste sono bandite. Impossibile qualsiasi equiparazione. Basterebbe, d’altronde, contare il numero di morti ammazzati – dice negando l’evidenza – Non mi sembra che dalla fine degli anni ’70 si registrino vittime neofasciste per le strade del nostro Paese, mentre invece contiamo vittime dell’antifascismo, su tutte Renato Biagetti a Focene e Davide Cesari a Milano, ma anche il ragazzo di Verona che venne ucciso perché aveva i rasta, con la scusa della sigaretta. Abbiamo ben chiaro chi è che uccide in questo Paese, e di certo non sono gli antifascisti».
Smemoratissimo anche lui. Ha infatti dimenticato, tanto per rimanere alla violenza rossa “certificata”, le esecuzioni di Massimo D’Antona (1999), Marco Biagi (2002) ed Emanuele Petri (2003). Ma anche in questo caso, purtroppo, l’elenco sarebbe ben più lungo.
Gli interpellati dei centri sociali fanno gli smemorati
Ancora più lunare la risposta di Carlo Fontana, tra i gestori del centro sociale Brancaleone a Roma. Anche lui dipinge la realtà dei centri sociali come parlasse delle Giovani marmotte.
«I centri sociali da 30 anni fanno cultura, sono avanguardia nelle periferie abbandonate da tutti, baluardi di diritto e possibilità per i giovani». Dice proprio così. E prosegue nella immaginifica narrazione “petalosa”. «Io personalmente, che gestisco centri sociali da 30 anni, insisto sul fatto che c’é tutta un’altra logica rispetto alla loro, fatta di aggregazione, di costruzione del sapere, di possibilità di dare spazio ai giovani, di costruire modelli di vita diversi». Una descrizione da fumetto Disney. Mancano solo Qui, Quo, Qua.
«Noi costruiamo .- dice ancora Fontana – situazioni di aggregazione e apertura ai quartieri là dove c’é il vuoto assoluto a livello culturale, loro ti dicono che il migrante è il tuo obiettivo di scontro perché ti ruba il lavoro. Noi parliamo di integrazione, il modello dei centri sociali è tipo Riace». Riace come modello, appunto. Dove il sindaco Lucano è stato condannato a 13 anni e due mesi. Può bastare come paragone.
Nella foto, militanti del centro sociale Askatasuna ed esponenti di altri centri sociali di Modena, Vicenza e Padova, impegnati in una “manifestazione culturale” contro la Tav. (Foto Ansa, 17 dicembre 2019).