“Papà, i soldi devi spenderli solo per i migranti…”. Perfino il figlio accusava Lucano per le spese pazze
Chissà se ieri Roberto Saviano ha dato una sbirciatina alla Verità, in particolare all’articolo di Fabio Amendolara sul caso di Mimmo Lucano. In caso negativo, può trovarlo su Dagospia. Sul sito è ancora meglio perché potrà riconoscersi mentre sorride insieme all’ex-sindaco di Riace, all’epoca certamente tra i suoi eroi più celebrati. Forse lo è ancora, almeno a giudicare dal tweet lanciato subito dopo la sua condanna: «Ha solo salvato vite, sarà assolto». Può darsi. Nel frattempo, ci sono i 13 anni e due mesi di carcere scaricati sul suo groppone dal tribunale di primo grado. Una sentenza durissima che ha demolito il modello Riace grazie al quale Lucano era (è) diventato un’icona della sinistra buonista e salottiera, quella alla Fabio Fazio per intenderci.
Lucano è stato condannato a 13 anni e 2 mesi
Una condanna quasi raddoppiata a fronte della richiesta di 7 anni e 11 mesi avanzata dal pm. Ma dura era stata anche la requisitoria dell’accusa. Proprio da quel documento la Verità ha messo nella sua giusta luce Lucano e il suo modello a base di laboratori per gli immigrati. «Erano lo specchietto per le allodole», è la stroncatura del pm. Che spiega: «Funzionavano per le personalità, per gli ospiti, per i turisti, ma come si può leggere nelle intercettazioni venivano aperti e chiusi ad hoc». Intercettazioni, dunque. C’è quella del giorno della visita del ministro greco. Ecco che cosa dice l’allora sindaco a un immigrato: «Fatti vedere che apri il laboratorio per la cioccolata e portati anche la bambina con te». Fin qui ordinaria sceneggiata. Ben più imbarazzante è la telefonata di Fernando Capone, legale rappresentante di Città futura (condannato a 9 anni e 10 mesi).
Su La Verità la requisitoria dell’accusa
Il pm la l’ha letta in aula: «Avanzano questi soldi, tu non preoccuparti, vai a comprare una cameretta per te e per i ragazzi». E quando l’interlocutore chiede «ma si può fare?», Capone risponde: «No che non si può fare, ma che cazzo te ne frega, l’importante è che tu non debba restituire i soldi. Noi lo facciamo sempre». Il resto spiega uno dei pilastri del sistema-Riace. Questo: «Dobbiamo restituire a un certo punto perché non abbiamo speso? Allora fatture false, prestazioni, compriamo qualcosa per noi. Questo è il metodo». E Lucano? Secondo il pm, agisce «per un tornaconto politico elettorale». La prova ancora una volta nelle intercettazioni. Il sindaco conta i voti: «Dalla famiglia Tornese ci vengono 70-80 voti […] la Taverniti si fotte i soldi, ma non posso allontanarla perché mi porta 20 voti […]. A me è la politica che mi tiene».
Voti e soldi in nome del buonismo
Ma forse c’è anche il tornaconto economico. Il pm fa riferimento al falso contratto di Capone. L’idea è farlo presidente dell’associazione e dargli 10mila euro. Capone dice: «Ma me li date veramente?». E Lucano: «Sì, sì, te li diamo e poi ce li restituisci». Ma fifty-fifty. «4.000 te li tieni tu e l’altra metà ce la ridai a noi», spiega Lucano. C’era anche il trucco per scroccare più soldi al ministero. Bastava trattenere i migranti il più a lungo possibile. Come? Taroccando la banca dati delle presenze. Lo ha confermato in udienza la teste Annalisa Maisto. Ecco le sue parole: «Noi sapevamo chi entrava ma l’irregolare tenuta della banca dati rendeva impossibile stabilire con certezza l’esatta permanenza».
L’allarme del figlio di Lucano
E dire che persino il figlio Roberto trovava sospetto quel giro di soldi. «Ma attento papà – avverte durante una chiamata -, guarda che quei fondi ti sono stati dati per gestire i migranti… sono fondi della Comunità europea». Ma Lucano li usava anche per pagare le feste, come i concerti estivi del 2015 e del 2017. All’uopo contatta l’impresario Maurizio Senese. La cifra pattuita è di oltre 60.000 euro, 20mila dei quali coperti da contributo regionale. Il resto sapete da dove arriva? Lo spiega il pm: «Dai fondi dello Sprar, fondi pubblici». E destinati ai migranti. Tra gi artisti pagati così anche Roberto Vecchioni. Il modello Riace è il paradigma della sinistra: soldi dei contribuenti per obiettivi ideologici. E, nel caso di Lucano, pure personali. Come ha scritto il magistrato «mercimonio in nome dell’accoglienza».