Pensioni, a Draghi saltano i nervi. Ora ce l’ha con i sindacati e con chi si mette di traverso. Il retroscena
Da un lato i partiti, dall’altro i sindacati. In mezzo Mario Draghi poco propenso a trattare oltre la soglia che lui stesso ha stabilito come trattabile. È la cornice in cui ieri il confronto tra premier e Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni è finito con una fumata nera. E, raccontano i retroscena, con una certa irritazione di Draghi.
Draghi lascia il vertice con i sindacati
Dopo due ore di confronto Draghi ha lasciato l’incontro con i sindacati. “Impegni istituzionali pregressi”, è stata la motivazione ufficiale, con la quale il capo del governo ha passato al ministro Renato Brunetta le redini di una riunione di fatto conclusa così: dopo il saluto del premier, i colloqui a Palazzo Chigi sono durati una manciata di minuti appena. Praticamente il tempo dei convenevoli.
Cgil, Cisl e Uil: «Pronti alla mobilitazione»
Draghi si era presentato al tavolo coi sindacati portando in dote 3 miliardi per gli ammortizzatori sociali e 8 per la riduzione del carico fiscale. I sindacati avrebbero voluto maggiore chiarezza sulle destinazioni finali, sulle quali invece la parola sta al Parlamento. Questione di settimane, le sigle puntavano a una soluzione entro qualche giorno. Ma sul tavolo i sindacati avevano posto anche altre richieste, rispetto alle quali a fine incontro si sono detti apertamente delusi, tanto da annunciare, come ha fatto il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, che «nelle prossime ore decideremo, unitariamente, alla luce del testo di legge che sarà approvato in Consiglio dei ministri, come dare luogo ad una fase di mobilitazione con manifestazioni a sostengo delle nostre rivendicazioni».
Il nulla di fatto sulle pensioni
«Sulle pensioni non c’è neanche una scelta: né 102 né 104 c’è solo la scelta di stanziare 600 milioni per la proroga di Opzione Donna e l’Ape sociale. Né ci sono risposte a chi ha versato per 41 anni i contributi a prescindere dalla età anagrafica, non ci sono risposte sulla necessaria riforme complessiva», ha poi chiarito il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, mentre è stato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, a sottolineare che «con 600 milioni non fai una riforma degna di questo nome. Ci hanno confermato che allo stato quelle sono le decisioni che hanno preso».
Lo «stupore» di Draghi per delle richieste «esagerate»
Draghi, secondo quanto riportato in un retroscena del Corriere della Sera, avrebbe accolto con «stupore» quello che sarebbe stato «un ventaglio di richieste a suo giudizio esagerato o infondate». «Non mi aspettavo un intervento tanto polemico, con 3 miliardi sugli ammortizzatori sociali e 8 sulla riduzione delle tasse, mi sarei aspettato un atteggiamento diverso. La manovra è un pacchetto corposo di misure», sono state le parole del premier citate dal CorSera come risposta a Bombardieri. Sullo sfondo resta la necessità per il premier di tenere insieme anche le richieste dei partiti, in una manovra solo limabile, ma di fatto approntata, e rispetto alla quale bisogna anche trovare la quadra con la Lega per un’uscita sostenibile da quota 100.
La difficoltà di tenere insieme le richieste di tutti
«Questa è una manovra distributiva, che inietta sull’economia del Paese più di 23 miliardi di euro, e proprio per questo ognuno vuole dire la sua. È stato più facile definire la destinazione di 200 miliardi di euro del Piano nazionale di riforma, visto che i paletti li aveva fissati Bruxelles e lo spazio politico era praticamente inesistente», ha spiegato una fonte del governo al Corriere, che sottolinea come per questo esecutivo sia «difficile mettere insieme le ragioni dei sindacati con quelle della Lega, del Pd, dei Cinque Stelle e di Forza Italia». «Ne uscirebbe una manovra fiscale cacofonica, e anche per questo motivo si è proceduto con un sostanziale accentramento delle scelte», sottolinea Marco Galluzzo che firma l’articolo, ricordando che la scrittura della manovra è ora appannaggio del ministero del Tesoro e che, da Palazzo Chigi, poco avvezzo a vedere messe in discussione le scelte del premier, nessuna reazione è trapelata di fronte alla volontà di mobilitazione espressa dai sindacati.