Sentenza Lucano, avviso ai compagni sconsolati che gridano al complotto: citofonare a Travaglio
Su Mimmo Lucano (nelle foto mentre guida una manifestazione anti-Salvini) citofonare a Marco Travaglio. O, in alternativa, leggerne l’editoriale – Amaro Lucano – che ha passato ai raggi X il dispositivo della sentenza con cui i magistrati di Locri hanno comminato 13 anni e 2 mesi di reclusione all’ex-sindaco di Riace. Lo consigliamo soprattutto ai piangenti e gementi che da ore stanno trasformando la sinistra in una valle di lacrime per la sorte toccata al simbolo dell’accoglienza dei migranti. «È come Gino Strada», ha azzardato ad esempio Gad Lerner proprio sul Fatto Quotidiano. Sarà. Ma per il direttore di quello stesso giornale, cioè Travaglio, l’accostamento risulta alquanto abusivo. I fatti dicono altro. Almeno per come li ha messi in fila il Tribunale, diligentemente riferiti dall’editoriale.
Imprecazioni “a prescindere”
A leggerlo, più che un apostolo della disobbedienza civile capace con propria feconda trasgressione di far esplodere le contraddizioni del sistema, Lucano vi appare (nella migliore delle ipotesi) come un sindaco-pasticcione che mischia sacro e profano, pubblico e privato, nobili finalità e rendiconti truccati. Lo leggano gli iper-legalitari di sinistra, quelli che le-sentenze-si-accettano-e-non-si-commentano, e ora schierati a testuggine a protezione del condannato. Certo, la vicenda è complessa e Lucano resta innocente fino a sentenza irrevocabile di condanna. Tutti sappiamo, del resto, che da tempo la nostra giustizia si è specializzata in sorprendenti ribaltoni, a plastica conferma che i tribunali, specie quelli di primo grado, sono tutt’altro che impermeabili al clamore mediatico suscitato dalle inchieste giudiziarie. Vale anche per per l’ex-sindaco di Riace. Analoga prudenza, tuttavia, dovrebbe ispirare e consigliare anche i suoi sconsolati compagni. Invece imprecano contro la pena giudicata eccessiva, addirittura superiore alla richiesta dell’accusa.
Amaro Lucano per la sinistra
Complotto? Macché. «Quei 13 anni e 2 mesi – argomenta Travaglio – sono il cumulo delle pene per i singoli reati, quasi tutti molto gravi (…)». E fa precedere da un eloquente «sgombriamo subito il campo dalle falsità» l’analisi, capo per capo, delle singole imputazioni. Ma è sulla chiusa dell’editoriale che farebbero bene a riflettere i tanti che, più che giurare sull’innocenza di Lucano, ne pretenderebbero l’impunità. «L’impressione – conclude infatti Travaglio – è che la nobile missione del “modello Riace” gli abbia dato alla testa, convincendolo di essere al di sopra, anzi al di fuori della legge. Che si può sempre contestare e persino, per obiezione di coscienza, violare. Ma senza la fascia tricolore a tracolla. E affrontando poi le conseguenze delle proprie azioni». Perfetto. Già, che cos’altro si potrebbe chiedere di più dopo questo Amaro Lucano?