Spirlì: «Da omosessuale vi dico che il ddl Zan avrebbe creato un ghetto. È peggio che dire fr***»
«Erano loro che volevano creare un ghetto sociale per gli omosessuali, un recinto molto più volgare della parola “ricchione”». All’indomani dello stop al ddl Zan, Nino Spirlì non nasconde la sua soddisfazione per l’affossamento della legge, che saluta come «una vittoria di civiltà, contro una legge che il signor Zan tentava di far approvare a suo imperituro ricordo: uno che voleva passare alla storia per una norma con il suo nome, nulla di più».
Il voto sul ddl Zan? «Rappresenta la volontà degli italiani»
Intervistato dall’Adnkronos, l’ex governatore della Calabria, gay dichiarato e sempre in prima linea contro i «ghetti», contro la legge che ne avrebbe creati di nuovi e in generale contro la «lobby frocia», ha rigettato la lettura data dalla sinistra secondo la quale il Parlamento si sarebbe distanziato dal sentire del Paese e, anzi, ha sottolineato che con quel voto al Senato «gli italiani hanno scelto di non tagliare la lingua agli italiani, le parole fanno male come una lama quando sono lame, non in quanto parole». «Io – ha proseguito il 59enne che prese le redini della Calabria dopo la prematura scomparsa di Jole Santelli – posso continuare a usare termini come “frocio” e “ricchione”, me lo dice ora pure il Parlamento e il popolo, rappresentato da chi ha votato no a questa legge».
«Creare un ghetto è molto più volgare di dire “ricchione”»
Spirlì, che sulla sua pagina Facebook ha anche rilanciato le dichiarazioni del senatore Pd, e gay dichiarato, Tommaso Cerno, contro il ddl Zan, ha sottolineato che «erano loro che volevano creare un ghetto sociale per gli omosessuali, un recinto molto più volgare della parola “ricchione”». «Il no al ddl Zan – ha detto ancora – è stato votato anche dal centrosinistra, non è un sordo no del centrodestra. Siamo di fronte a una scelta condivisa dal popolo italiano. Il Parlamento – ha rimarcato l’esponente leghista – mi dice che le parole non devono far paura». Per Spirlì, infatti, «ci sono dei modi di dire che possono sembrare violenti, ma in realtà non lo sono. Ad esempio, a Roma “li mortacci” è un intercalare frequente, un mezzo respiro tra una frase e l’altra, ma nessuno si permette di offendere i defunti dell’altra persona».
Spirlì: «Non mi offendono le parole, ma le etichette»
Quelle parole, dice Spirlì riferendosi a “frocio”, “ricchione”, “negro”, «sono una spontaneità che se prese nella giusta misura non offendono nessuno, altrimenti dovremmo tacere sempre e non è possibile». Per evitare i ghetti, piuttosto, per Spirlì «gli omosessuali devono coltivare di più i rapporti con chi omosessuale non è». «La paura e la preoccupazione e la distanza – sottolinea – devono essere colmate, dobbiamo essere tutti quanti in santa pace, così come si è». Ma “frocio” non è un’offesa? «Io – replica Spirlì – mi sento offeso a essere messo in una categoria, i ghetti sociali sono quelli che allontanano, se creiamo “specialità” allontaniamo gli uomini dagli uomini, e questo non può funzionare».