Dopo “vairus” e lockdown, la Crusca boccia l’anglofono “booster”: in italiano si dice richiamo

6 Nov 2021 17:43 - di Lara Rastellino
richiamo

Dopo i lockdown (meglio dire coprifuoco) che avevano accomunato gli italiani nel dramma della pandemia e nella tragedia delle sue terribili degenerazioni. Scatenate sul fronte dell’occupazione e su quello della crisi economica. Il Covid continua a dividere la piazza: con il fronte No vax e No Green Pass. E, sul piano strettamente linguistico, con il ricorso a un lessico esterofilo, mal visto soprattutto dagli addetti ai lavori dell’Accademia della Crusca. Anche perché, dopo aver mal digerito che il latino virus diventasse la storpiatura anglofona vairus, ora succede pure che il richiamo del vaccino diventi “booster” e non più, semplicemente, seconda dose. E così, il presidente dell’istituzione di linguistica e filologia, una delle più prestigiose d’Italia e del mondo, non ci sta. E rispedisce al mittente slang e rivisitazioni colloquiali, tuonando: «L’uso del termine inglese? Inutile e incomprensibile per il grande pubblico».

Covid, l’Accademia della Crusca boccia il termine “booster”: in italiano si dice “richiamo”

Dunque, l’Accademia della Crusca: la Cassazione della linguistica, boccia il ricorso al termine inglese “booster” (con il significato di una dose di vaccino che accresce e rinnova gli effetti di una inoculazione precedente) al posto dell’italianissimo “richiamo”, per indicare la terza dose del vaccino anti Covid. E come anticipato, attraverso il suo massimo esponente di riferimento, chiarisce: appare «inutile e incomprensibile” l’uso di “booster” se rivolto al grande pubblico. Un verdetto, quello che il professore emerito di Storia della lingua italiana nell’Università del Piemonte Orientale, Claudio Marazzini, ufficializza in veste di presidente della Crusca.

“Booster” al posto di “richiamo”: «Si è persa l’occasione di aiutare gli italiani a capire meglio»

Aggiungendo peraltro, in quelle che potrebbero essere le motivazioni della sentenza: «La diffusione indiscriminata e acritica, tramite i media e non solo, della parola booster da sola e senza l’equivalente italiano, che pure esiste – dichiara Marazzini all’Adnkronos – mostra che ancora una volta si è persa l’occasione di aiutare gli italiani a capire meglio. Forse per “educarli” all’abbandono della loro lingua. O per dimostrare che l’italiano non ha parole adatte. E questo non è vero: perché “richiamo”, per i vaccini, esiste dai primi del Novecento».

Il vizio (linguistico) d’origine? Si annida all’interno del Ministero della salute…

Una bocciatura senza se e senza ma. Senza giustificazioni di sorta o fascinazioni esterofile possibili. Il presidente dell’Accademia della Crusca, la secolare istituzione incaricata di custodire il tesoro della lingua italiana, evidenzia come il ricorso a “booster” sia del tutto superfluo. Visto che «in italiano in questi casi abbiamo sempre detto “richiamo”, per esempio per l’antitetanica. E nessuno ha mai contestato questo termine». E meno che mai pensato di rimpiazzarlo con una sorta di equivalente anglofono. Eppure, a guardar bene, il vizio d’origine. Il peccato originale, è ascrivibile proprio a altri vertici istituzionali.

Il termine anglofono al posto di quello italiano correntemente in uso in una circolare di settembre scorso

In questo caso, nello specifico, proprio al ministero della Salute. Che, ricorda Marazzini, ha usato la parola “booster” in una circolare del 27 settembre scorso, firmata dal direttore della Prevenzione, Gianni Rezza. Nella circolare, la prima volta che compare, il termine è posto tra virgolette, dopo non più. «Se ne spiega però anche il banale significato di “richiamo”, seppure in una parentesi», osserva il numero uno della Crusca. Ossia solo in seconda battuta e relegato nelle retrovie di un’autostrada linguistica spianata al ricorso di slang e esterofilie linguistiche. Una tendenza che oggi l’Accademia della Crusca bacchetta e boccia. Senza possibilità d’appello.

 

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