Eutanasia, l’appello della Cei: «Applicare la legge su cure palliative e terapia del dolore»

25 Nov 2021 13:56 - di Redazione
eutanasia

Sul fine vita «applicare, in modo uniforme e diffuso, la legge sulle cure palliative e la terapia del dolore, tecniche capaci di ridare dignità alla vita dei malati, anche di quelli inguaribili o di quelli che sembrano aver smarrito il senso del loro stare al mondo». È l’appello lanciato dai vescovi italiani al termine dell’Assemblea generale straordinaria della Cei che si è conclusa oggi a Roma e che si era aperta lunedì alla presenza del Papa. L’Assemblea è coincisa con il pieno della ripresa del dibattito sull’eutanasia, sia per l’iter della legge alla Camera sia, soprattutto, per il caso di Mario, il paziente delle Marche che per primo in Italia ha ottenuto il via libera al suicidio assistito.

La Cei contro l’eutanasia: «La vita è sempre sacra»

«Per la Chiesa che è in Italia stare accanto ai più deboli è una scelta che si rinnova ogni giorno nella verità e nella carità. In questo senso viene espressa anche profonda vicinanza e condivisione a quanti si trovano in condizioni di fragilità, ricordando che la sacralità di ogni vita umana non viene meno neppure quando la malattia e la sofferenza sembrano intaccarne il valore», è stato il messaggio inviato dai vescovi, per i quali «avere compassione di un malato significa sostenerlo con terapie adeguate e con affetto, restituendogli la speranza nel Cristo medico, che guarisce e salva».

L’intervento della Pontificia accademia per la vita

Già martedì, quando l’associazione Luca Coscioni ha reso nota la vicenda di Mario, sull’eutanasia si era espressa la Pontificia accademia per la vita, rimarcando la necessità di «linguaggi più degni per indicare alla società» la strada per curare le «persone più vulnerabili e fragili». «Anzitutto – aveva detto monsignor Vincenzo Paglia, che guida l’Accademia – è certamente comprensibile la sofferenza determinata da una patologia così inabilitante come la tetraplegia, che per di più si protrae da lungo tempo: non possiamo in nessun modo minimizzare la gravità di quanto vissuto da “Mario”».

Sull’eutanasia il richiamo a «linguaggi più degni»

«Rimane tuttavia – aveva aggiunto l’arcivescovo – la domanda se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione “di principio” del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione a una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti?». «Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il normale potere di sopprimere – aveva chiesto ancora monsignor Paglia – non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità vulnerabile, sofferente, disperata? Tutto quello che riusciamo ad esprimere è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?».

Monsignor Paglia: «Per non perdere l’amore e l’onore, almeno ci si interroghi»

«Si pone, in altri termini, l’interrogativo, almeno l’interrogativo, se non altro per non perdere l’amore e l’onore del giuramento che sta al vertice di tutte le pratiche di cura, se non siano altre le strade da percorrere per una comunità che si rende responsabile della vita di tutti i suoi membri, favorendo così la percezione in ciascuno che la propria vita è significativa e ha un valore anche per gli altri», si legge ancora nel testo della Pav, per la quale la vicenda di Mario «solleva inoltre una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali».

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