Franchi tiratori, peones, aspiranti aghi della bilancia: tutte le incognite del voto per il Quirinale

6 Nov 2021 18:16 - di Gigliola Bardi
voto quirinale

Tra indiscrezioni sui nomi, sospetti, segnali, prove generali e retroscena, in vista del voto per il Quirinale c’è una sola certezza: né centrodestra né centrosinistra hanno autonomamente i voti per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Il terreno, dunque, è fertilissimo perché i più disparati scenari possano fiorire, tanto più che si tratta di conti fatti sulla carta, a fronte di partiti che nella maggior parte dei casi faticano moltissimo a serrare le file.

La conta del voto per il Quirinale

A riassumere i numeri è stato Il Giornale, in un articolo dal titolo «La palude del Quirinale: ecco i voti fuori controllo». Il dato di partenza è che i grandi elettori sono 1008: 630 deputati; 320 senatori, compresi i sei a vita; 58 delegati regionali, che per consuetudine si esprimono nella misura di due di maggioranza e uno di opposizione. Il che, ragiona Il Giornale, porterà a 33 delegati per il centrodestra e 24 per il centrosinistra. I voti del centrodestra dovrebbero essere 451, quelli del centrosinistra 420. In entrambi i casi, considerando le coalizione al completo. Tradotto: nessuno dei due schieramenti dispone in partenza neanche del quorum della maggioranza assoluta che scatta alla quarta votazione e che abbassa la soglia di voti necessari a 505.

La profezia sui franchi tiratori

Questo, poi, prendendo per buoni i numeri dati, ovvero senza entrare nel campo dei franchi tiratori e delle transumanze, di cui si è avuto un assaggio in occasione del voto sul ddl Zan. La prima grande incognita si trova dal Gruppo misto, che conta 62 deputati e 47 senatori. Ci sono poi le partite di Italia Viva, che con i suoi 43 eletti può avere un peso determinante; di Più Europa-Radicali, Azione di Carlo Calenda e L’Alternativa c’è. Ma anche, dicono i rumors, di Coraggio Italia di Toti, che di parlamentari ne conta 31, e del Maie, così come dei 4 deputati e 5 senatori delle Autonomie linguistiche, alle quali però afferiscono anche Gianclaudio Bressa e Pierferdinando Casini e i senatori a vita come Napolitano e Elena Cattaneo. Dunque, come ha detto un parlamentare di lungo corso al Giornale, per l’elezione del prossimo capo dello Stato «il problema non sono i centouno franchi tiratori di prodiana memoria. Stavolta – ha chiosato l’anonimo – ce ne saranno cinquecentouno».

 

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