Guido Piovene, la vocazione per il reportage tra i fantasmi che scuotono l’esistenza
Guido Piovene vicentino di nascita classe 1907, fu uno scrittore e giornalista. Il riconoscimento, che lo consacrò nel panorama letterario nazionale, fu l’assegnazione al suo libro “Le stelle fredde” del Premio Strega 1970. La personalità di questo autore- che morì il 12 novembre del 1974- transitava con ragguardevole capacità dalla scrittura giornalistica a quella letteraria. Una personalità molto complessa. Cosa dovuta anche alla solida cultura ispirata ai principi della religione cattolica che aveva ricevuto in casa. Impostazione spirituale, che lo portava letterariamente parlando, a inoltrarsi su percorsi incandescenti dell’animo umano.
Discendeva da una famiglia nobile, tra le maggiormente consolidate dell’aristocrazia veneta. La matrice di formazione cattolica, fatalmente andrà a rispecchiarsi in alcune tematiche che troveranno centralità nelle dinamiche delle sue opere. Il male, la responsabilità, la colpa e il riscatto da essa. Giornalisticamente parlando, fu maestro dei reportage. Uno di essi, in particolar modo viene considerato una vera e propria pietra angolare del genere: “Guido Piovene ha compiuto per conto della R.A.I. nella nostra penisola un viaggio di ricognizione che è di una completezza che non ha precedenti, e ci ha dato un inventario, com’egli lo chiama, che scoraggerà per molti anni chi vorrà ritentare l’impresa”.
Queste parole sono di Eugenio Montale. Come ulteriore coronamento intervenne anche un ulteriore autorevole voce, quale quella di Indro Montanelli, che lo indicò come testo da “rendere obbligatorio nelle scuole”. Bompiani, a distanza di anni ha ripubblicato quei testi dal sapore profetico, nati per la televisione nei quali tra l’altro si poteva leggere: “L’Italia, è divenuto il posto d’Europa più duro da vivere, quello in cui più violento e più assillante è diventata la lotta per il denaro e per il successo”.
Proseguendo con ulteriori considerazioni di bruciante attualità. ”In nessun altro Paese sarebbe possibile assalire, come da noi, città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno”. Piovene (l’immagine è tratta dal sito on line Pangea) aveva una vera e propria vocazione per il genere del reportage. Infatti ne firmò nel “53 uno sulla realtà statunitense “De America”; nel “67 un altro “Madame de France”, sulla vita in Francia di quel periodo. Ma questo prezioso esercizio di analisi attenta e approfondita della realtà, costituiva forse un “diversivo” dall’affrontare direttamente le corrosive tematiche sotterranee che albergavano nell’animo dello scrittore. Queste si materializzavano costantemente, assumendole fattezze di personaggi diversi di volta in volta.
Nella “Lettera di una novizia”, suo libro del 1941, la narrazione scavalca completamente contingenze derivanti dall’impatto devastante della guerra, ripiegandosi in un sofferto epistolario tra madre e figlia sull’improvvisa decisione di quest’ultima di farsi suora. Rita, ragazza borghese, repentinamente lascia il fidanzato, e improvvisamente decide di farsi suora. La vicenda ha dei tratti sicuramente ambigui, che l’autore alimenta nella narrazione. La scelta di cambiamento radicale, della propria vita, operato dalla protagonista, non si chiarisce se dipenda da pura e cristallina vocazione, o se invece è maturata all’ombra di qualche colpa inconfessabile. Il tema della responsabilità e della colpa sono temi ricorrenti nella scrittura di Piovene. Anche perché gli fu rinfacciata sempre la responsabilità di aver vergato una lusinghiera recensione al libro del direttore del Tevere, Telesio Interlandi “Contra Judeaos”. Cosa questa che come primo effetto produsse la lacerazione del rapporto di stima e di amicizia, con l’allora compagno di studi. Il filosofo ebreo Eugenio Colorni, che a pochi giorni dall’arrivo degli Americani a Roma, fu sacrificato per mano della Banda Kock. Tornò pubblicamente su quel pronunciamento, e sul complessivo rapporto di avallo, tenuto di fatto nei confronti del Regime, con il libro “La coda di paglia”.
In esso faceva ammenda dei comportamenti avuti. Ciò comunque, non fu sufficiente per sottrarlo dal cono nero di diffidenza, nel quale un certo mondo intellettuale l’aveva relegato. Nel 1963, pubblica “Le Furie”. Romanzo, autobiografico ambientato a Vicenza sua città natale. Con essa vive un rapporto inquieto, di altalenanti sentimenti. Anche perché è il luogo dove prosperano le sue “Furie”. Sensi di colpa, per comportamenti e valutazioni errate. Catena di ricordi, che al riaffacciarsi cigolano nella sua anima. Prisma di epifanie, che provocano inquietudini. Rimpianti. L’uomo, sembra dirci l’autore, non può sottrarsi dal confrontarsi con la sua genuina realtà. Conquista da ottenere pagando il pegno più salato, quello della verità.
Il suo universo creativo, si distacca sempre più da suggestioni che possono trovare respiro, inseguendo fattispecie del contingente. La dimensione spazio tempo, nel quale Piovene muove le sue pedine-personaggio, fino a tratteggiarne la fisionomia come quella di veri e propri “revenant”. Fantasmi che tornano, con le loro verità, a scuotere le esistenze. Linea che troverà matura propulsione espressiva nel libro “Le stelle fredde”. Pure qui si rinnova il confronto con i luoghi del passato del protagonista. Di tale impatto, che lo porteranno a “disperdersi” per residenze di campagna. Accusato fra l’altro di essere autore di un omicidio. Imputazione pesantissima dalla quale cerca di discolparsi. In questo quadro dai tratti di un noir esistenziale, l’autore per così dire cala l’asso della presenza del fantasma di Fedor Dostoevskij. Il mondo segreto e contrastato di Piovene, viene definitivamente esplicitato in questa atmosfera dai confini indefiniti.
Sogno, realtà, apparizioni fantasmatiche.L’autore vicentino, resta all’attenzione degli scrittori più avvertiti. Infatti Franco Cordelli, critico del Corriere della sera, pochi anni fa ha scritto “L’ombra di Piovene”, nel quale tra le altre cose lo definisce: “Uno degli eroi intellettuali del XX° secolo”. Indro Montanelli nel 1974, offrì allo scrittore di entrare a far parte di quella “ciurma”, che di lì a poco avrebbe varato sul mare dei conformismi dal soldo buono, il “Veliero” del quotidiano Il Giornale. Il fondatore, temeva di ricevere un rifiuto alla proposta. Questo, perché era a conoscenza che la drammatica SLA, malattia che lo porterà alla morte, si era già affacciata con sintomi nefasti nella vita dell’autore veneto.
Con sorpresa di Montanelli, Piovene accettò con entusiasmo. In un convegno ebbe a dire: “Arrivati a una certa età, nell’imminenza della chiusura dei bilanci, ci si accorge che una cosa sola conta, e per quella sola vale la pena di vivere e di battersi: la verità. Rimpiango di averlo capito troppo tardi”. Lotta per la verità, anche se in modo a tratti esitante aveva sempre condotto, come “La coda di paglia” testimonia. Con la sua collaborazione al “Giornale”, rinnovava l’impegno affinché la “verità” non sia monoposto, ma “verità” in quanto tale. In questa ricerca torna “Uno degli eroi intellettuali del XX° secolo”, come scrive il critico del Corriere. Figure delle quali, ancor oggi, anzi per meglio dire soprattutto oggi, ne abbiamo veramente bisogno. Ci lascerà il 12 novembre del 1974.