“In Marocco i giudici mi hanno dato ragione, in Italia no”. Parla la donna segregata dal marito
Grida ancora vendetta l’archiviazione del caso del marocchino che segregava la moglie costringendola al velo per «attenuanti culturali». Lei ora ha paura «Ho incubi notturni, sento le sue urla, le sue esplosioni di rabbia. È stato terribile». Ora parla lei: “Non mi aspettavo la richiesta di archiviazione perché la denuncia che ho sporto in Italia è identica a quella marocchina ma lì il giudice mi ha dato ragione”. Inizia così l’intervista di Annalisa Chirico su Libero a Salsabila Mouhib. Che non si capacita del provvedimento del pm di Perugia. Ne ha preso le distanze lo stesso procuratore capo Raffaele Cantone.“Mi riservo di approfondire e verificare quanto scritto nella richiesta d’ archiviazione – ha spiegato Cantone al Corriere della sera – . In base a una prima analisi si può ipotizzare che quello sul velo possa anche non essere un passaggio giuridicamente rilevante per chiedere al gip (al quale spetterà la decisione) di archiviare le accuse. Ma credo sia inopportuno in atti giudiziari inserire valutazioni sociologiche non di competenza di un pm al quale spetta solo stabilire se i comportamenti sono illeciti o meno”.
Parla la donna picchiata e segregata dal marito: “I giudici marochini mi hanno dato ragione”
Era stato Alfredo Mantovano a stigmatizzare come molte toghe italiane siano soggetto al politicamento corretto. Le parole di Cantone confermano questa lettura. «Il mio ex marito mi teneva chiusa in casa, non potevo uscire, lui chiudeva la porta con le mandate e si portava via le chiavi. Non voleva che io o i miei tre figli avessimo relazioni con il mondo esterno», racconta di nuovo a Libero la donna 33enne. Che adesso vive in una località protetta nel Napoletano, assistita dalla Onlus Acmid Donna. La donna parla attraverso un traduttore simultaneo perché il marito- tra le altre cose- le vietava di avere realazioni, amiche, addirittura accendere la tv- racconta a Libero. Non conosce una parola della nostra lingua. La Chirico le chiede se alla luce delle brutalità subite la decisione del pm perugino l’abbia stupita. «Mi ha sorpreso, ne ho parlato con il mio avvocato di fiducia, Gennaro De Falco. Neanche lui ha saputo spiegarmi le ragioni di un provvedimento in contrasto con quanto disposto dal giudice marocchino che mi ha dato ragione».
“Se il magisatrato italiano mi avesse chiamato, avrei spiegato…”
Racconta la donna. «In Marocco il giudice ha riconosciuto la colpevolezza del mio ex marito: mi ha assegnato l’affido dei miei bambini e a lui ha inflitto una multa di tremilacinquecento euro per i danni provocati. Questa multa lui l’ha dovuta pagare, altrimenti non avrebbe ottenuto il divorzio. Il giudice marocchino ha anche stabilito che il mio ex marito debba corrispondere mensilmente il mantenimento dei suoi figli. Ma lui non l’ha mai fatto».
“Non conosco i diritti delle donne italiane perché non sono mai uscita”
Quanto all’ ” attenuante culturale”, adotta nella richiesta di archiviazione, risponde: «Io non so che diritti abbiano le donne italiane perché nel vostro Paese non ho potuto frequentare nessuno. Per sentito dire apprezzo la loro libertà, però io non l’ho vissuta. Non so rispondere a questa domanda. Ma il giudice in Marocco è musulmano e ha riconosciuto i miei diritti, anche se il mio ex non li sta rispettando. Se il magistrato italiano mi avesse chiamato, gli avrei raccontato tutto. E forse avrebbe compreso meglio la mia situazione e non ci sarebbe stata la richiesta di archiviazione per la motivazione “culturale”. Anch’ io oggi comincio a capire che nessuna cultura dà diritto a trattare una donna come mio marito mi ha trattato».