Islamico picchia e segrega in casa la moglie, il pm lo assolve: è la sua cultura. Sbai: Volete un’altra Saman?
Un cittadino islamico di origine maroccchina maltratta da anni la moglie, anch’ella marocchina. Vivono in provincia di Perugia. Accade che dopo anni di abusi e percosse la donna prenda il coraggio a quattro mani e vada a denunciarlo alla polizia, Cosa succede? Nulla. Il giudice archivia e lo assolve: è la sua cultura. I comportamenti, «non condivisibili in ottica occidentale», rientrano comunque «nel quadro culturale dei soggetti interessati». E’ un orrore e sta facendo molto discutere la richiesta di archiviazione da parte del pm di Perugia Franco Bettini della denuncia della donna. Nata in uno sperduto paesino del deserto del Marocco, si era sposata a dicembre del 2014 con un uomo del suo villaggio. Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce in Italia, a Tuoro in provincia di Perugia. Hanno tre figli.
Islamico maltratta la moglie e il giudice: “”E’ la sua cultura”
La vicenda è raccontata nei minimi particolari da Libero, che intervista in merito l’ex magistrato Alfredo Mantovano. La donna marocchina ha raccontato alla polizia: «Quando usciva mi chiudeva in casa e si portava via le chiavi», leggiamo sul quotidiano di Sallusti. “La donna può uscire di casa solo per andare dal medico o in ospedale a partorire. E, una volta nati i figli, per accompagnarli a scuola”. Uno squarcio di vita familiare la dice tutta: «Dopo aver partorito il primo figlio sono rientrata da sola a casa alle 4 e 30 del mattino. Mio marito allora ha preteso che gli preparassi la colazione. Io ero ancora dolorante. Lui mi diede uno schiaffo iniziando a dire che era buona a nulla».
Islamico maltratta la moglie, “non sussiste”: le motivazioni della sentenza
Il marito decide di separarsi. E compie l’ultima angheria. “Durante il viaggio in Marocco si porta via i documenti sanitari dei tre figli, mettendo in difficoltà la moglie rimasta in Italia. L’unica fonte di sostentamento per la donna è il bonus per madri senza lavoro erogato dall’Inps: pari a circa 2mila euro”. E’ questo l’elemento che ha giocato a “sfavore” della donna agli occhi del pm di Perugia. «Non ha segnalato la sua situazione ai servizi sociali, a cui si era rivolta per il ottenere il bonus, pur avendone la possibilità». Quindi la sentenza. “Non sussiste, conclude il pm scrivendo il provvedimento di archiviazione, nel comportamento dell’uomo una tale offensività delle azioni da ingenerare i sentimenti tipici di paura ed ansia.
Alfredo Mantovano: “Le toghe prigioniere del politicamente corretto”
«Questa vicenda sembra una declinazione giudiziaria del politicamente corretto». Duro il commento di Alfredo Mantovano, magistrato di Cassazione, già sottosegretario all’Interno. «Quando l’articolo 3 della Costituzione riconosce eguale dignità a ogni persona senza distinzione di età, sesso, religione significa che l’eguale dignità è un dato così fondante del nostro ordinamento che non può essere incrinato da nessun rispetto di altre culture. Pensi se dovessimo trarne le conseguenze estreme di questa tesi del pm…». Propone una correlazione estrema, ma fino a un certo punto. «A questo punto per una famiglia che intendesse ispirarsi alla cultura maya o azteca sarebbe assolutamente normale fare sacrifici umani. Chiaramente è un discorso estremizzato: ma fino a un certo punto».
Souad Sbai: “Allora non ci lamentiamo per quel che è accaduto a Saman”
«È un fallimento totale. Segna dieci passi indietro per quanto riguarda il diritto e la violenza contro le donne. Ed è una sentenza che rischia di diventare un precedente grave». Souad Sbai, presidente della Onlus “Acmid Donna”, di origine marocchina, ma da 40 anni in Italia, commenta così la richiesta di archiviazione. “È una sentenza discriminatoria. Ha denunciato il sequestro, la violenza, la segregazione. E la risposta è stata questa: nulla. Allora non ci lamentiamo quando accade quello che è accaduto a Saman…”. Le parole del magistato “Sono parole che mi offendono – dice la Sbai – . E offendono anche la nostra cultura di origine. Sono una minoranza i musulmani che indossano il burqa. Io non lo porto. Se domani quell’uomo lapida sua moglie in una piazza, cosa diciamo? Fa parte della sua cultura? Dobbiamo decidere quale legge seguire. Aspettiamo il morto?»