La follia di vietare le parole “Natale” e “Maria”: anche il Vaticano perde la pazienza con l’Europa
Il decalogo “Union Equality” dell’Europa fa discutere e arrabbiare anche il Vaticano, con quell’assurdo consiglio, o divieto, di usare le parole che facciano riferimento al Natale e alla religione, per non offendere i non cattolici. “Chi va contro la realtà si mette in serio pericolo”, sottolinea il Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, in merito al documento della Commissione Europea che invita a non usare parole e nomi come Natale, Maria o Giovanni.
No dell’Europa alle parole sul Natale, la Santa Sede reagisce
“Credo – osserva Parolin ai media vaticani- che sia giusta la preoccupazione di cancellare tutte le discriminazioni. E’ un cammino di cui abbiamo acquisito sempre più consapevolezza e che naturalmente deve tradursi anche sul terreno pratico. Però, a mio parere, questa non è certamente la strada per raggiungere questo scopo. Perché alla fine si rischia di distruggere, annientare la persona, in due direzioni principali. La prima, quella della differenziazione che caratterizza il nostro mondo, la tendenza purtroppo è quella di omologare tutto, non sapendo rispettare invece anche le giuste differenze, che naturalmente non devono diventare contrapposizione o fonte di discriminazione, ma devono integrarsi proprio per costruire una umanità piena e integrale. La seconda: la dimenticanza di ciò che è una realtà. E chi va contro la realtà si mette in serio pericolo”.
“E poi – annota il porporato- c’è la cancellazione di quelle che sono le radici, soprattutto per quanto riguarda le feste cristiane, la dimensione cristiana anche della nostra Europa. Certo, noi sappiamo che l’Europa deve la sua esistenza e la sua identità a tanti apporti, ma certamente non si può dimenticare che uno degli apporti principali, se non il principale, è stato proprio il cristianesimo. Quindi, distruggere la differenza e distruggere le radici vuol dire proprio distruggere la persona”.
La Cei: “Non capisco perché non fare gli auguri agli islamici”
No ad un neutralismo che appiattisce e arriva a “distruggere le identità”. Monsignor Antonino Raspanti, vicepresidente della Cei per il settore Sud nonché vescovo di Acireale, boccia le linee guida della Ue che chiedono lo stop ai riferimenti a religione o genere in nome dell’inclusione. Per Bruxelles dovrebbe anche essere bandito il ‘buon Natale’ è sostituito con un generico ‘festività’.
“Questa sorta di neutralismo che vorrebbe, secondo chi la propone – ed è già in uso negli Usa e in Canada – appiattisce, non rispetta come vorrebbe le identità ma le annacqua ha una funzione appiattente”., dice all’Adnkronos il vescovo che racconta una esperienza personale. “Quando studiavo in una università Usa – racconta – nel campus c’era una cappella per il culto: era assolutamente vuota; qui ogni religione faceva il proprio culto. Ebbene, io la trovavo sempre terribilmente vuota, senza anima, possibilità per nessuno di ritrovarsi”.
Avverte perciò il vicepresidente dei Vescovi sul decalogo dell’Europa sul Natale: “Questo modo neutralistico di concepire a lungo andare appiattisce e distrugge le identità. Io non ci trovo nulla di strano che il 25 dicembre si dica Natale, così come il ricordare le festività delle altre religioni.. A me non infastidisce dire pubblicamente Ramadan. Anzi, ricevo ogni anno gli auguri di Natale dall’Imam e a mia volta, quando è, io li faccio a lui . Chi non crede o prova fastidio credo abbia qualche problema. Non essere riconosciuti mi sembra una teoria che sradica e non fa crescere. Non è azzerando i volti che costruisci società multi religiosa che noi cattolici riconosciamo”.
Le linee guida da mandare al macero
Quanto al fatto che si tratta di linee guida dell’Europa sul Natale che non erano destinate alla diffusione , il vescovo Raspanti osserva: “Si tratta di una linea di pensiero che in qualche modo cercano di imporci. Ancorché riservate, sono linee che obbediscono a tendenze di pensiero che mi sembrano sbagliate”.
I cattolici devono opporsi? “Dobbiamo fare presente il nostro pensiero poi oggi si combatte con questo modo apparentemente democratico di scendere in piazza e gridare per fare valere il pensiero. Come cattolico – osserva Raspanti – non so se devo alzare la voce o non alzarla perché sembra che non ci sia più la motivazione di fondo, non c’è voglia di riconoscere le ragioni ma solo di spartirsi una torta”.