La toponomastica secondo Fiano: mai più vie ai “fascisti” Moro, Fanfani, Bocca, Lajolo e molti altri
Siamo rispettosissimi della vicenda familiare del dem Emanuele Fiano, il cui papà ha conosciuto l’inferno dei lager nazisti. Ma ciò non ci trattiene dal ricordargli che il troppo storpia sempre. E che il confine che separa l’enfasi dal ridicolo è labile anche in materia di antifascismo. Non ce ne voglia, perciò, se bolliamo come una sesquipedale cretinata la proposta di legge che ha presentato insieme ad altri due deputati – Andrea De Maria (Pd) e Federico Fornaro (Leu) – per vietare in futuro di «intitolare strade, piazze e altri luoghi o edifici pubblici a esponenti del partito fascista, e in particolare a coloro che hanno ricoperto ruoli dirigenziali nel Partito nazionale fascista o nel Partito fascista repubblicano, ovvero che hanno pubblicamente promosso, partecipato o aderito alla campagna per la difesa della razza, o che hanno rivestito cariche politiche nella Repubblica sociale italiana».
Oltre a Fiano, l’anno sottoscritta De Maria (Pd) e Fornaro (Leu)
I tre onorevoli farebbero bene ad approfondire la materia sulla quale pretendono di legiferare. Piaccia o meno, il fascismo non si esaurisce negli opuscoletti di propaganda in distribuzione illo tempore nelle sezioni del Pci. La storia si studia, non si esorcizza per frasi fatte. «Il fascismo non è un’opinione, è un crimine» è merce da talk-show, slogan per luogocomunisti ignoranti, idiozia in uso a legislatori della domenica. Il solo fatto che Fiano, Fornaro e De Maria abbiano messo nero su bianco tanta approssimazione, la dice lunga sulla loro caratura intellettuale. Neanche hanno pensato agli effetti aberranti cui condurrebbe il loro delirio politico-storico-legislativo. Basti, a dimostrarlo, un piccolo elenco di personalità cui la legge Fiano inibirebbe in futuro la gloria della toponomastica.
Anche Eugenio Scalfari fu fascista
A cominciare da Aldo Moro, due volte (’37 e ’38) finalista dei Littoriali della cultura, certamen riservato agli universitari. Decisamente peggio dello statista dc, che vi discettò dei Principi e dei valori universali del Fascismo, è però messo il giornalista Giorgio Bocca. Correva l’anno 1942 (XX E.F), precisamente il 4 giugno, quando in un articolo per il settimanale La Provincia Grande imputò il cattivo andamento della guerra alla «congiura ebraica», cui avrebbe dovuto opporsi «l’Europa ariana». Gli concediamo una deroga? In fondo è quel che spera (per quando sarà) Eugenio Scalfari. Già, nel caso Fiano e compagni lo ignorassero li informiamo che l’ultimo giornale per cui il fondatore di Repubblica ha lavorato prima del ribaltone di Badoglio si chiamava Roma Fascista. Ne era il caporedattore.
Fiano, maccartista rovesciato
In orbace e camicia nera restò fino al fatale 25 luglio 1943 anche un comunista come Davide Lajolo. E dire che quelli che sarebbero diventati i suoi futuri compagni li aveva persino combattuti, da Volontario del Littorio, nella guerra di Spagna. Nome di battaglia: Ulisse. Altro nome illustre da sbianchettare è quello di Amintore Fanfani. Fu infatti docente alla Scuola di mistica fascista nonché collaboratore della rivista Dottrina fascista. Nel 1939 sostiene in un saggio che «per la potenza e il futuro della Nazione gli italiani devono essere razzialmente puri». Ci fermiamo qui perché la stiamo facendo troppo lunga. Ma dovremmo citare anche Guglielmo Marconi, Luigi Pirandello, Salvatore Di Giacomo, Alberto Beneduce, Ernesto Murolo. E l’elenco potrebbe diventare più lungo di un obelisco egizio. Uomini d’ingegno e di cultura che hanno a vario titolo contribuito a consolidare il Regime. Come la mettiamo, caro Fiano? Li condanniamo tutti alla damnatio memoriae o prova lei ad uscire dal suo maccartismo rovesciato che le procura visibilità oggi per coprirla di ridicolo domani?