Lilli Gruber, faziosa e potente “vestale della verità”. Il ritratto al vetriolo di Piroso

20 Nov 2021 9:36 - di Redazione
Lilli Gruber

Lilli Gruber ha ragione. Mario Giordano non è un suo collega. No, perché in realtà è lei che non è una giornalista. E’ lei, cioè, che non si percepisce come una semplice giornalista ma come la vestale della verità. Questo il succo dell’analisi che Antonello Piroso fa oggi sulla figura della Gruber in un lungo articolo su La Verità.

Già, ma quale verità? “Ovviamente la sua – scrive Piroso – che poi è quella dei «compagnucci della parrocchietta». «Sinistrismo ben temperato dall’Auditel» (peraltro positivo), l’ha fotografato Aldo Grasso che nel 2014 sul Corriere della sera si fece 10 domande (retoriche) sull’anchorwoman, una per tutte: «Perché interrompe spesso i suoi ospiti? Lo si fa con chi la pensa diversamente da noi»”. Piroso ricorda anche l’impietoso giudizio di Giampaolo Pansa nel suo libro Tipi sinistri: “Nei talk show politici i conduttori sono quasi tutti militanti (di sinistra) boriosi e arrabbiati. Sul ring televisivo non sono arbitri, ma pugili. La loro faziosità è sfacciata e ridicola. In questo difetto capitale si assomigliano tutti. Le loro trasmissioni hanno regole e ospiti decisi da loro a vantaggio della propria fazione”.

Un ritratto, quello di Piroso, tessuto su aneddoti e citazioni. Dai quali emerge una Lilli potentissima e dall’ego smisurato, per la quale è sempre pronto a scendere in campo Franco Bernabé. “Quando – racconta Piroso, che è stato direttore del Tg La7 prima di Enrico Mentana –  feci realizzare, sulle note della marcia di Radetzky, un servizio satirico su tutti i candidati al mio posto, una nutrita pattuglia, il giorno dopo mi arrivò una telefonata del capo di Telecom Italia Media, editore diretto de La7, Gianni Stella detto «Er canaro» per modi e eloquio sofisticati. E difatti, urlando e forse millantando: «Ma che ca… te dice la testa? Franco è inca… nero. Gli ha telefonato la Gruber, avvelenata perché l’hai pijata per il cu…!»”.

Altro aneddoto che di Lilli Gruber dice molto, anzi moltissimo, è tratto dal libro di Clemente Mimun Ho visto cose: «Quando nel 2002 approdai alla direzione del Tg1, mi disse che si aspettava di essere la prima inviata a Baghdad, in quel campo considerandosi la massima esperta. Mi sconsigliò in modo tranchant alcuni altri giornalisti degli esteri, Ennio Remondino e Carmen Lasorella. Al suo ritorno in Italia, a Fiumicino, era attesa anche da un’auto di Domenica in, che voleva festeggiare in diretta il suo ritorno in patria. Ricordo l’ingresso trionfale nello studio. Mara Venier le chiese chi avesse abbracciato per primo al suo rientro e Lilli rispose: “Mio marito”. Grandioso, salvo che suo marito aveva vissuto tutta la crisi irachena al fianco della moglie, nella stessa stanza d’albergo!»”.

Ormai – è la conclusione di Piroso – Gruber non controlla più “le sue idiosincrasie. Se invece si tratta di ospiti all’altezza (sua), sono inchini, rose e violini con tanto di cambio di format: un faccia a faccia alla Mixer, senza fastidiosi intrusi. È capitato con il citato Bernabè, Carlo De Benedetti, Ezio Mauro… A Matteo Renzi, invece, la settimana scorsa Gruber ha fatto trovare una «neutrale» compagnia di giro: Massimo Giannini e Marco Travaglio, due allegroni. Un assedio, più che un confronto”.

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