Nel nuovo romanzo di Buttafuoco ci sono Dürer, la saggezza sufi e la commedia all’italiana
Con questo suo settimo romanzo, e i numeri un significato ce l’hanno sempre, Pietrangelo Buttafuoco regala al lettore 349 pagine che si dipanano come un film o uno spettacolo teatrale. Sono cose che passano (La nave di Teseo, euro 19,00), è un romanzo in cui una vicenda di cronaca nera degli anni ’50 non diventa – come avviene per molti narratori – l’interessante pretesto per una ricostruzione realistica dei fatti. Ma si anima, invece, nel cuore di una rappresentazione esemplare e universale.
Nel romanzo c’è sullo sfondo la celebre incisione di Dürer
Quella in cui, come nel teatro dei Pupi, la questione è sempre la stessa, quella essenziale: la lotta tra il Bene e il Male, tra gli uomini e dentro la singola persona. C’è nel libro tanta commedia, c’è il cinema di Pietro Germi, emergono suggestioni alla Pirandello o alla Dostoevskij, così come c’è la tragedia classica e c’è, infine, sullo sfondo la più celebre incisione di Dürer, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo.
Un episodio narrato a Buttafuoco da Giano Accame
L’idea della storia è venuta a Buttafuoco tanti anni fa, quando era ancora un ragazzo e incontrò Giano Accame, il grande giornalista e scrittore che è stato anche direttore del nostro Secolo d’Italia. Accame, che era il genero di Carlo Delcroix, ora uno dei personaggi di Sono cose che passano, incuriosito del fatto che Pietrangelo fosse di Leonforte gli raccontò la vicenda che era venuto a conoscere da suo suocero. Che è poi la storia del Barone baro Rodolfo Polizzi e della sua giovane e bellissima moglie, la Principessa Ottavia di Bauci, che inizia a Leonforte ma avrà un epilogo di cui sarà testimone Delcroix, il poeta cieco, eroe decorato della Grande Guerra, amico di Ezra Pound e deputato sia fascista, prima della Seconda guerra mondiale, e poi monarchico negli anni ’50.
Carlo Delcroix è uno dei personaggi, e diviene cavaliere del Bene
Non è un caso che sia proprio una citazione poundiana l’epigrafe del romanzo: “E i giorni non sono pieni abbastanza / E le notti non sono piene abbastanza / E la vita scivola come un topo di campo / Che non piega gli steli”. Delcroix nelle pagine del romanzo viene infatti appellato “Uncle Carlo” così come lo chiamava amichevolmente il poeta americano. E Delcroix riveste nella narrazione il ruolo di un Arcangelo redentore che di fronte alla Morte e al Diavolo tentatore e vero autore del Male assume le vesti del Cavaliere.
La vicenda immerge il lettore nella Leonforte degli anni ’50, in cui dietro il sedicente barone e la sua consorte si agita una umanità variopinta tra una suocera tirannica e vecchio stampo, i giovani del Circolo di Compagnia, l’aspirante deputato Nino Buttafuoco, un medico notabile del paese, il farmacista massone, un sacerdote di quelli d’un tempo come padre Cesare Montalto, il regista Rossellini e il principe Alliata, Lucio Piccolo con i fratelli Casimiro e Agata Giovanna, il popolino leonfortese e gli aristocratici, compresi quelli più disinvolti e frequentatori dei sulfurei ambienti di Cefalù.
Un contesto corale che fa da sfondo alla vita di ogni paese
Sullo sfondo il tragicomico requiem del Barone Polizzi, che finisce per diventare l’involontario protagonista delle brame e dei capricci della principessa di Bauci. Un contesto di coralità che richiama la vita nelle piazze di qualsiasi paese e che riesce a coinvolgere e appassionare, intrattenendo e facendo divertire il lettore nello stesso momento in cui la vicenda diventa una riflessione profonda dalle forti implicazioni metafisiche.
L’altra dimensione del romanzo: quella spirituale
Buttafuoco spiega in premessa che “i luoghi e i personaggi di questo libro non figurano allo stato civile” e che il suo stesso paese, Leonforte, diventa una “astrazione”. È proprio così. Segno oltretutto di una visione della vita e del mondo secondo cui oltre ciò che ci appare davanti ogni giorno c’è sempre una dimensione altra, ci sono presenze spirituali che convivono con noi e forniscono il senso vero di ciò che ci accade. “Non è destino” è forse la frase che più ricorre nel libro. Che si rivela una grande occasione per vedere l’esistenza anche come un grande gioco di ruoli e convenzioni dietro cui, però, si agitano il Diavolo, la Morte e la possibilità della Redenzione.
Con il ricorso alla commedia l’autore ci mostra al meglio le sfumature dell’animo umano e il fatto che la nostra esistenza è costituita, in fondo, da tante “cose che passano”. Perché la Morte non può essere rimossa e sta sempre heideggerianamente dietro l’angolo. È come se Buttafuoco ci rimandasse alla saggezza coranica: “Da Dio veniamo, a Dio torniamo”.