Reddito di cittadinanza, l’ultima beffa del governo Draghi: più soldi, ma solo agli stranieri
Nuova beffa per l’Italia che lavora o che cerca lavoro, nel primo incontro, questa mattina, a Palazzo Chigi tra il ministro del Lavoro Orlando, Stefano Patuanelli e Renato Brunetta e il premier Draghi, convocato per apportare correzioni al meccanismo del reddito di cittadinanza, sulla base delle indicazioni arrivate dalla Commissione Saraceno. Proposte per migliorare, si dirà: ma intanto la prima indiscrezione riguarda l’allargamento della platea e del sussidio agli stranieri. Avere capito bene, non agli italiani. Il testo della “Saraceno” è stato adottato dal governo Draghi, questa mattina, e sarà portato all’attenzione dei parlamentari.
“Il mandato della Commissione prevista dalla legge istitutiva del Reddito di cittadinanza è stato volutamente ampliato per consentire al dibattito politico un riferimento un po’ più largo, che consentisse una valutazione sotto il profilo scientifico. Ed il rapporto è la base da cui il Parlamento può partire per riflessioni e ulteriori integrazioni”, ha detto oggi il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, presentando il rapporto sull’Rdc preparato dal Comitato Scientifico presieduto da Chiara Saraceno. Un rapporto dal quale, però, emergono notizie ottime per tutti, tranne che per gli italiani bisognosi. Si riuscirà a modificare le proposte in Parlamento?
Reddito di cittadinanza anche a stranieri residenti da 5 anni
Tra le proposte, per migliorare il Reddito di cittadinanza, l‘allargamento della platea, e quindi del totale dei fondi, agli stranieri: “portare il periodo di residenza in Italia necessario per ricevere il Reddito di Cittadinanza a 5 anni”, è una delle dieci proposte del Comitato scientifico per la valutazione del Rdc.
Per ricevere il Reddito di Cittadinanza, rileva il Comitato, “sono oggi necessari 10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi 2 continuativi. Questa previsione produce una discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri, limitandone fortemente la possibilità di accedere alla misura. Un simile criterio fa dell’Italia il Paese in Europa con i requisiti di residenza più stringenti: 10 anni, infatti, non sono previsti in nessun altro Stato”. Si scende a 5, dunque.
Inoltre, sottolinea il Comitato, “tale previsione non risulta rispettosa delle direttive europee in materia di accesso alle prestazioni assistenziali, poste a tutela anche degli italiani all’estero. Introdurre un requisito di durata minima di residenza è ragionevole. Ma imporre un intero decennio di attesa come soglia minima significa lasciare senza aiuto famiglie e individui, inclusi minorenni, in condizioni di grave disagio, con il rischio che la loro situazione peggiori in modo irreversibile laddove un aiuto più tempestivo potrebbe prevenire l’avvio di traiettorie verso l’esclusione sociale, quando non la devianza”.
La novità del lavoro “congruo” sul Rdc
A quanto apprende l’Adnkronos da fonti di governo, è stato confermato quando deciso nell’ultimo Cdm ovvero il decalage dopo il primo rifiuto di una proposta di lavoro congrua. Ed ancora. Ridefinire i criteri di ‘lavoro congruo’ per stimolare l’accesso all’occupazione, è una delle dieci proposte del Comitato scientifico per la valutazione del Rdc. I beneficiari di RdC, anche quando teoricamente ‘occupabili’, infatti, spiega il Comitato evidenziando la problematica che andrebbe risolta, “spesso non hanno una esperienza recente di lavoro ed hanno qualifiche molto basse. Inoltre, i settori in cui potrebbero trovare un’occupazione – edilizia, turismo, ristorazione, logistica – sono spesso caratterizzati da una forte stagionalità. I criteri attualmente utilizzati per definire congrua, e quindi non rifiutabile, un’offerta di lavoro non tengono conto adeguatamente di questi aspetti. Occorre introdurre criteri che, salvaguardando la dignità delle persone e il diritto ad un equo compenso, siano più coerenti con le caratteristiche dei beneficiari e con l’obiettivo di favorirne la costruzione di un’esperienza lavorativa”.
L’orario del lavoro da accettare
Nello specifico il Comitato propone anche che nella considerazione dell’entità minima della retribuzione accettabile bisognerebbe “rimodularla in base all’orario di lavoro per tenere conto anche di occupazioni part time”; per quanto riguarda l’orario di lavoro ritenuto congruo, “invece di riferirsi a rapporti di lavoro a tempo pieno o con orario di lavoro non inferiore all’80% di quello dell’ultimo contratto di lavoro, stante che in molti casi questo riferimento non è possibile, fare riferimento a rapporti con orario di lavoro non inferiore all’60% dell’orario a tempo pieno previsto nei contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81/2015; considerare, almeno temporaneamente, congrui non solo contratti di lavoro che abbiano una durata minima non inferiore a tre mesi, ma anche contratti di lavoro per un tempo più breve, purché non inferiori al mese, per incoraggiare persone spesso molto distanti dal mercato del lavoro ad iniziare ad entrarvi e fare esperienza; eliminare le severe disposizioni che, ai fini della congruità dell’offerta lavorativa, fissano, dopo la prima offerta, il distanziamento del luogo di lavoro entro 250 chilometri dal luogo di residenza, ovvero su tutto il territorio nazionale, disposizioni palesemente assurde e inutilmente punitive per lavori spesso a tempo parziale e con compensi modesti”.
L’ammissione: oggi lavorare non conviene più
Oggi, rileva il Comitato, “a un percettore del RdC lavorare non conviene. Infatti, in presenza di un incremento di reddito da lavoro, l’80% di questo concorre alla definizione dell’importo della prestazione. In concreto, se il reddito da lavoro di un beneficiario di RdC aumenta di 100 euro, l’ammontare della misura diminuisce di 80: il guadagno netto è solo di 20 euro. Di fatto, è come prevedere una tassazione dell’80% sul nuovo reddito; entro un anno da quando si inizia a riceverlo, questa percentuale salirà al 100%. Si tratta, invece, di consentire il cumulo tra il RdC e una percentuale significativa dell’eventuale nuovo reddito da lavoro, al fine di renderne conveniente la ricerca.
Incentivi ai datori di lavoro
“Estendere l’attuale incentivo alle imprese che assumono i beneficiari del RdC anche nel caso di: assunzioni con contratto a tempo indeterminato con orario parziale, assunzioni con contratto a tempo determinato, purché con orario pieno e di durata almeno annuale; sospendere, almeno temporaneamente in attesa che il meccanismo divenga più fluido ed efficiente, il requisito della presenza dell’offerta di lavoro sulla piattaforma”. E’ questa una delle dieci proposte del Comitato scientifico per la valutazione del Rdc.
La soglia di ammissione per il sussidio
Ridurre la soglia di partenza per i nuclei di una persona da 6.000 a 5.400 euro; equiparare, nella scala di equivalenza, i minorenni agli adulti, attribuendo a tutti, dal secondo componente la famiglia in su, il coefficiente 0,4; portare il valore massimo della scala di equivalenza a 2,8 (2,9 in presenza di persone con disabilità); in caso di decadenza dal diritto al beneficio a causa di non ottemperanza agli obblighi da parte di un componente della famiglia, la decadenza valga solo per questi, quindi per la sua quota, non per l’intero nucleo. E’ questa una delle dieci proposte del Comitato scientifico per la valutazione del Rdc.
La scala di equivalenza, rileva il Comitato, “è lo strumento che serve per determinare la soglia di accesso al RdC, e il suo importo, nei nuclei familiari di diversa composizione. Quella utilizzata nel Reddito di Cittadinanza non ha alcuna base nella letteratura scientifica e non viene impiegata in nessun altro Paese Europeo. Questa scala, inoltre, penalizza, senza alcun motivo, le famiglie con minori e/o numerose rispetto a quelle di piccole dimensioni e di soli adulti. Per il secondo componente la famiglia e successivi il coefficiente è infatti 0,4 per gli adulti e 0,2 per i minorenni”.
Il tetto massimo per le famiglie
Inoltre, sottolinea il Comitato, “vi è un tetto massimo di 2,1, indipendentemente dalla numerosità famigliare. Lo svantaggio riguarda sia la possibilità di ricevere la misura sia l’ammontare del trasferimento monetario percepito. Vi sono, dunque, molte famiglie povere, numerose o con minori, ingiustamente escluse dalla misura oppure che, quando la ricevono, ottengono un contributo economico non adeguato alle loro necessità. Appare, inoltre, ingiustamente punitivo, e in contrasto con gli obiettivi del RdC, far decadere l’intera famiglia dal diritto a ricevere il RdC nel caso uno dei suoi componenti non soddisfi gli obblighi ad esso connessi”.